Mario Ajello
Il nome del capogruppo ancora non c’è. Ma potrebbe essere quello di un panzer, Roberto Giachetti. Il progetto invece, e stiamo parlando della nascita del gruppo di Renzi alla Camera, che potrebbe venir annunciato nei giorni della Leopolda ad ottobre, è pronto. E i suoi amici assicurano: «Mai sentito Matteo tanto determinato, si parte».
A Montecitorio, con una trentina di deputati «d’assalto riformista» come dicono loro, e non al Senato perché le regole di Palazzo Madama impediscono nuovi gruppi che non siano stati già presentati alle elezioni. E dunque: una trentina saranno i renziani alla Camera, almeno per partire («ma poi vedrete – dice Matteo ai suoi – che dovremo chiudere le iscrizioni per overbooking») mentre al Senato l’operazione è questa. Esce dal gruppo dem Renzi, per andare al Misto, e con lui cinque o sei senatori (si fanno i nomi di Faraone, Magorno, da Stefáno, la Malpezzi, la toscana Caterina Bini) mentre Marcucci resta dov’è: capogruppo Pd. Perché serve più lì che fuori per il momento. E infatti, spiega uno degli strateghi dell’operazione, tra i più vicini a Renzi: «Diversi guastatori, anzi chiamiamoci spingitori, gente cioè che incalza il Pd dal di dentro a colpi di iniezioni di coraggio riformista e di grande radicalità innovativa, in una prima fase non aderisce al progetto. Lo sostiene da fuori». Dunque il turbo-renzismo va subito all’assalto del governo che Matteo ha molto contribuito a creare? Neanche per sogno. Ai suoi Renzi spiega: «Sarà una separazione assolutamente consensuale. Il nostro progetto serve a rafforzare il governo, ad aggiungere una gamba in più capace di parlar fuori dal recinto della sinistra e anche ad aiutare la sinistra». Cioè? Scomposizione e ricomposizione politica sono le espressioni che usano quelli dell’«assalto riformista» che – specificano – non è per rompere ma per correre di più. Se i renzisti escono, questo il ragionamento, si facilita la riunificazione di Leu con il Pd che ormai è nei fatti e i bersaniani-dalemiani scalpitano per ritornare nella ditta insieme a tutto quel mondo di sinistra-sinistra che mai aderirebbe a un partito con dentro Renzi considerato proverbialmente da quelle parti un mezzo destrorso e un vero berlusconiano. Mentre il nuovo gruppo dell’ex premier farà da calamita ai moderati anche non di sinistra, ai riformisti senza etichette, compresi quei forzisti critici, sfiduciati e stanchi ma vogliosi di contare ancora fuori dai vecchi schemi destra-sinistra. E si guarda infatti all’area Carfagna e – dicono alla Camera – «anche direttamente a Mara, se in Forza Italia non succede niente e niente succederà». «La nostra uscita dal Pd e l’entrata di Leu nel Pd sarebbe quasi a saldo zero», così parla Matteo ai suoi, pur sapendo che se tutti i renziani andassero via dal gruppo dem poco resterebbe stando ai numeri attuali. E un ragionamento così serve a dire che Zingaretti non perderebbe granché, ma sarebbe più libero di fare la sinistra che vuole, mentre il renzismo potrebbe senza più troppi vincoli potrebbe fare il mestiere suo. «Conte – raccontano alcuni di quelli chi stanno gestendo l’operazione – non ha nulla da temere, anzi sta già capendo che questa operazione lo fortifica». Il premier troverà una sinistra più forte a sostenerlo e un centro innovativo renzista, a sua volta capace di contare e attrarre e di dare sostanza al governo rosso-giallo. Etichetta che a Renzi non piace granché, se resta binaria, e infatti punta a farla diventare triplice: «È mai possibile che noi che ci siamo spesi tanto e prima e più di altri per far nascere questa maggioranza ora dobbiamo vedere che c’è solo Zingaretti nei tavoli che contano e a fare la politica che serve?». Questo il mood. Non esplosivo, ma costruttivo. Almeno per adesso. E tra i 25-30 deputati pronti ad aderire al gruppo, ci sarebbero – ma la lista è passibile di uscite e soprattutto di altre entrate – Giachetti e Anzaldi, Morani e Boschi, Ascani (che comunque andrà al governo) e Nobili, Miceli, il lombardo Fragomeli, Marco Di Maio, Cosimo Ferri, Marattin, Romano, Buratti e via dicendo. «Noi però siamo dinamici – dice qualcuno di loro – e restare nel Pd per pungolarlo e spingerlo, per esempio sui temi del lavoro, sarà altrettanto eccitante». Lotti non farebbe parte dell’operazione. Il neo ministro Guerini neppure. Tanto è vero che nel pranzo di festa, per l’ingresso al governo, Guerini non c’era con Renzi ma con Matteo solo le due donne: la Bellanova e la Bonetti. E comunque: Renzi vuole vedere riconosciuto il suo ruolo di ispiratore della fase rosso-gialla, e ha trovato il modo mettendosi in proprio. Ma come reagirà M5S nella nuova coabitazione che si annuncia sarà tutto da vedere. E non sarà una passeggiata.