Mario Ajello intervista Elena Catteneo
Piazze piene. Ma prima dello sciopero autorizzato e giustificato, senatrice Cattaneo, non servirebbe un impegno della scuola per dare una consapevolezza vera ai ragazzi inmateria ambientale? «Credo che questa mobilitazione sia una grande occasione per ciascun docente di coniugare le proprie materie d’insegnamento al tema offrendo elementi conoscitivi, esperienze e riflessioni solide e accurate perché i ragazzi possano arricchire di senso critico le istanze civili e ambientali di cui si fanno portatori. In questo caso le discipline scientifiche spesso, a torto, ritenute meno appassionanti dai ragazzi possono fare la parte del leone. Impossibile ragionare di cambiamenti climatici senza conoscere questematerie». La piazza non come punto di partenza ma, nel caso, come luogo di approdo dopo un percorso formativo di conoscenza? «Il tempo della “piazza” non è qualcosa di pianificabile. C’è uno spirito del tempo che – qualsiasi sia il tema – la anima, la attraversa, talvolta la illude e, spesso, col tempo la disillude. La piazza, specie quella dei giovanissimi, è meraviglia, partecipazione, confronto e, più di ogni altra cosa, emancipazione attraverso la responsabilità». Che tipo di responsabilità? «Manifestare, per gli studenti delle scuole, significa disattendere un dovere in modo consapevole e, di conseguenza, assumere la responsabilità di riempire di senso quella “disobbedienza”. Sono dubbiosa, invece, sull’opportunità di promuovere l’assenza da scuola da parte di chi, per ruolo istituzionale, la rappresenta, anche quando si condividono le finalità globali che spingono gli studenti ad assentarsi. Ho il timore che giustificare uno sciopero lo possa banalizzare. O, peggio, avere l’effetto di deresponsabilizzare lo studente rispetto all’importanza della sua scelta di parteciparvi». Cosa crede si dovrebbe fare in questi casi? «Agli educatori, siano essi docenti o familiari, credo spetti il delicato compito di aiutare chi abbia espresso il desiderio o l’intenzione di manifestare a riflettere sul significato di quell’azione: disobbedire al sistema formale che impone la presenza a scuola, perdere ore di didattica, accumulare assenze comporta la responsabilità di dar valore a ciò che si sceglie di privilegiare, per questo è opportuno conoscere quanto più possibile le ragioni per cui si manifesta». In queste ore, sono risuonati molti slogan. Che cosa bisognerebbe fare per evitare semplificazioni e politicizzazioni? «Lo slogan di piazza è pressoché inevitabile, la sfida è riempirlo di senso rendendo i ragazzi consapevoli della complessità della materia, delle molteplicità delle politiche coinvolte, dei riflessi sui singoli Paesi di ogni scelta presa in nome del benessere generale. Confesso che io stessa, da non esperta della materia, la sto approfondendo anche per capire quali politiche siano più adeguate per fare tesoro della mobilitazione». Educazione civica all’ambiente nelle scuole? «Educazione civica sempre e comunque. A cui credo sia indispensabile – e sarebbe rivoluzionario – accompagnare l’obbligo dell’educazione al metodo scientifico: un portentoso strumento per indagare la realtà e affrontare l’avventura della conoscenza. Credo davvero – pur consapevole della mia “deformazione professionale” – che il metodo scientifico, nell’educare a sottoporre a critica e verifica le idee proprie e quelle altrui, con l’obbligo morale di adeguare i propri convincimenti alle evidenze disponibili e dimostrabili, sia un’assicurazione sul futuro. Ne abbiamo un enorme bisogno per resistere alle sirene della semplificazione estrema, anticamera della più vuota demagogia». M.A.