Massimo Franco
L’operazione è ben architettata: dal punto di vista politico e anche giuridico. Matteo Salvini è riuscito a ottenere in cinque delle Regioni guidate dal centrodestra, a Nord come al Sud, di appoggiare un referendum per cambiare il sistema elettorale. Si tratta di una mossa per contrastare il ritorno a quel proporzionale che ridurrebbe le possibilità di vittoria della destra a guida leghista; e per imporre invece un maggioritario col quale il capo del Carroccio conta di fare il pieno: con Giorgia Meloni e con Silvio Berlusconi, il più ostile. Ma non è detto che l’operazione riesca. La consultazione potrebbe essere non ammessa dalla Corte costituzionale. E non solo per il profilo di alcune norme. Il problema è che propone, non cancella una legge. Comporta dunque una ridefinizione dei collegi elettorali. E probabilmente incrocerà gli effetti della riduzione del numero dei parlamentari, per la quale il Parlamento voterà il 7 ottobre. Dunque si creerebbe un vuoto legislativo che impedirebbe al nuovo sistema di entrare in vigore. Ma sono preoccupazioni destinate a passare in secondo piano, per la Lega, come quelle sugli squilibri costituzionali legati al taglio dei parlamentari voluto dai grillini. Per la Lega, «maggioritario» è una parola magica da brandire contro la coalizione governativa tra M5S e Pd. Serve a far dimenticare che la sua nascita è dipesa dall’apertura maldestra di una crisi di governo da parte proprio di Salvini; e soprattutto a evocare una frattura tra una destra presentata come già vincente, e un governo definito truffaldino, asserragliato in Parlamento e deciso a fare di tutto per ritardare la presunta rivincita. Non solo. Con l’aggiunta del sì al referendum di Basilicata e Sardegna, il Carroccio può affermare che la spinta arriva da tutta Italia. Questo permette a Salvini e ai suoi governatori del Nord di negare la tesi di un’autonomia differenziata destinata a spaccare il Paese. In più, consente di tenere in piedi l’idea di una Lega nazionale nel momento in cui potrebbe essere messa in crisi per lo scontro sui poteri regionali rivendicati da Lombardia e Veneto. Anche perché l’uscita del Carroccio dal governo nazionale crea una situazione nuova in un Mezzogiorno bisognoso di referenti nell’esecutivo. Sono pezzi di una strategia che punta a tenere compatto il partito e a trasformare i rischi dell’opposizione in opportunità. Da questo punto di vista, lo smottamento dei Cinque Stelle, forti al Sud, aiuta. Ma la precondizione è che la legislatura non duri. Altrimenti, l’offensiva referendaria, e non solo, diventerà una battaglia di testimonianza, anticamera del logoramento.