Massimo Franco
La caccia alle responsabilità altrui è aperta, e infuria. Cenni di autocritica, invece, non se ne vedono. Forse perché le non scelte che hanno portato alla rottura tra la compagnia franco-indiana ArcelorMittal e lo Stato italiano sono così diffuse da far presagire contraccolpi pesanti per tutti. Lo scaricabarile tra maggioranza e opposizione e nel governo era prevedibile. Ma la sensazione è che l’epilogo dipenda dalla debolezza complessiva del sistema politico; e dalla sua incapacità di fare scelte all’altezza di un’economia globalizzata. Salvo soluzioni in extremis, sembra difficile disinnescare una bomba sociale rimasta tale troppo a lungo. Anche perché nessuno dei protagonisti appare disposto a riconoscere gli errori. E il tentativo di creare una sorta di unità nazionale anti-Arcelor Mittal sa di mossa disperata. Se finisce male, la vicenda promette di trasformarsi in una faida politica, in una polemica dai toni elettorali. L’incontro di oggi a Palazzo Chigi tra il premier Giuseppe Conte e i vertici aziendali forse farà capire la ricaduta finale. Rimane il sospetto che la situazione sia sfuggita di mano per difetto di decisioni e di chiarezza, consentendo a una multinazionale estera di ritirarsi da un investimento di interesse nazionale. Rapido, il leader della Lega Matteo Salvini fa sapere di essere pronto a votare ogni misura «utile a salvare i posti di lavoro» a Taranto. E si prepara a scagliarsi contro il governo: sebbene i Cinque Stelle gli ricordino che la Lega votò con loro per abolire l’immunità penale per i dirigenti dell’acciaieria. Ma questo promette di contare poco, se non si trova una via d’uscita. Già lievita l’accusa a Carroccio, Pd e Iv di avere, nel governo precedente e nell’attuale, mostrato subalternità alla cultura antiindustriale grillina. Il ruolo che il Movimento guidato da Luigi Di Maio ha in Parlamento dopo il voto del 2018 gli ha permesso di imporre un’agenda a dir poco controversa. Si è visto sul reddito di cittadinanza, che secondo l’ultimo rapporto Svimez ha prodotto risultati nulli e storture; in crisi come quelle di Alitalia; e ora con l’ex Ilva. Il M5S si difende sostenendo che è ArcelorMittal a violare i patti. Lo ripete Conte, trovando una sponda nel segretario del Pd, Nicola Zingaretti, e in Matteo Renzi, disposti a reintrodurre l’immunità penale: un modo per togliere alibi alla multinazionale. Ma i Cinque Stelle non sono d’accordo, riproponendo il lungo tira-e-molla del passato sull’Alta velocità. Se questa corsa affannosa ai ripari si rivelerà fuori tempo massimo, per il governo può diventare un altro imbarazzante segnale di logoramento.