Massimo Gaggi

«Facebook è una macchina che produce disinformazione a fine di lucro: firmate per obbligarla ad assumersi le sue responsabilità». L’appello di Elizabeth Warren per bloccare Facebook, preceduto da uno spot pubblicitario volutamente fake col quale la candidata democratica alla Casa Bianca prende di mira Mark Zuckerberg, segna lo scoppio ufficiale di una guerra che covava da tempo: quella tra il gruppo che domina il mondo delle reti sociali negli Usa e nel resto del mondo (ad eccezione della Cina) e la liberal americana considerata da molti la più probabile sfidante di Trump, ora che Joe Biden è stato azzoppato dalle insinuazioni del presidente sugli affari ucraini e cinesi del figlio Hunter. Da tempo la Warren denuncia l’eccessivo potere delle società di big tech e propone lo smembramento di quelle che operano in condizioni di quasi monopolio o che hanno raggiunto una posizione dominante nei vari mercati. Bersaglio preferito proprio Fb per la spregiudicatezza commerciale mostrata anche nella gestione della pubblicità politica e per la scarsa efficacia dei suoi interventi per arginare la diffusione delle fake news. In effetti il gruppo californiano si è mosso in ritardo, avendo negato per anni l’esistenza del problema, e quando ha preso l’iniziativa lo ha fatto in modo poco convincente. Dapprima si è affidato a un filtro basato su algoritmi. Poi, visti i risultati insoddisfacenti, ha assunto migliaia di «moderatori» in carne ed ossa e quando anche le loro scelte sono state contestate ha chiesto al governo di scendere in campo fissando quelle regole che in passato aveva rifiutato. Un implicito riconoscimento del primato della politica visto da molti con scetticismo. Con qualche ragione, visto che una settimana fa il sito The Verge ha diffuso l’audio di una conversazione durante la quale Zuckerberg afferma che, in caso di elezione della Warren, Facebook deve essere pronta a dare battaglia anche chiedendo ai tribunali di bloccare le riforme che l’esponente della sinistra democratica intende promuovere. Elizabeth ha affilato le armi ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata uno spot pubblicitario del partito repubblicano che accusa Joe Biden di aver promesso, quando era vicepresidente, un miliardo di dollari di aiuti all’Ucraina in cambio della rinuncia a indagare sulle attività della società petrolifera con la quale collaborava il figlio Hunter. La Cnn ha respinto l’inserzione sostenendo che la rete rifiuta di pubblicare notizie false o, comunque, diffamatorie. Facebook, invece, ha pubblicato: per le nostre politiche quel testo non può essere messo al bando. Sabato la replica beffarda della Warren che ha sfidato Facebook inviando loro un’inserzione pubblicitaria pagata nella quale si afferma che Zuckerberg ha dato il suo endorsement a Trump perla rielezione alla Casa Bianca. Notizia palesemente e volutamente falsa — come la stessa Warren ha poi precisato — diffusa solo per sfidare Facebook e farle sperimentare le conseguenze nocive di quelle che la candidata democratica ha bollato come «pratiche illegali e anti competitive grazie alle quali Trump ha la libertà di mentire sulle più grandi piattaforme social». Facebook, colta in mezzo a un guado difficile, con Zuckerberg che dovrà comparire più volte davanti al Congresso di Washington anche per difendere il suo piano per la creazione di una criptovaluta privata, la Libra, ha cercato di difendersi con un comunicato: nel quale spiega che, in base alle regole che si è data nel 2018, le affermazioni di esponenti politici e gli annunci pubblicitari relativi a campagne elettorali non vengono sottoposti al processo di fact checking — cioè di verifica dei fatti — utilizzato per filtrare le informazioni diffuse in rete.