Massimo Giannini

Un milione di ragazzi, in 180 piazze d’Italia. A urlare «un solo grido, un solo allarme, pianeta in fiamme, pianeta in fiamme». Possibile che la veduta corta sulle prossime elezioni impedisca alla politica di cogliere l’enorme capitale sociale racchiuso nella protesta delle nuove generazioni? Amitav Ghosh la chiama “la Grande Cecità”: le classi dirigenti non vedono che il cambiamento climatico mette in crisi l’idea di libertà. Per questo non colgono il potenziale dirompente del Fridays4future. Non capiscono che la domanda di futuro gridata da quei ragazzi non può essere irrisa o delusa. Non fanno l’unica cosa che avrebbe senso: dare risposte, qui e ora.

Non per lucrare un’altra manciata di voti, mettendo il cappello su un movimento che finora ha giustamente rifiutato di farsi imprigionare nella gabbia dei partiti. Ma per dare forma e sostanza a quella volontà di cambiamento, in nome di un semplice principio di responsabilità condivisa: la vostra battaglia è la nostra battaglia, e d’ora in poi la combatteremo insieme. C’è chi rievoca il ’68 o il ’77, la Pantera o la Gilda. Ma stavolta è diverso. Non c’è il vecchio riflesso della cultura protestataria dei nonni, e nemmeno del generico disagio adolescenziale dei padri. Le istanze da cui muovono gli scioperi in difesa dell’ambiente sono maledettamente reali. Supportate dalle rilevazioni degli scienziati, non dalle allucinazioni dei terrapiattisti. Fermare l’Apocalisse è possibile, ma per farlo occorre quella radicalità delle scelte di fronte alla quale i politici non sanno come reagire. Alle Nazioni Unite Greta Thunberg ha osato l’inosabile: sfidare l’establishment. «How dare you?», «Come vi permettete?», ha chiesto ai potenti della Terra, che hanno risposto nell’unico modo che conoscono: come si permette lei, la ragazzina? In Italia è andata allo stesso modo. Dall’opposizione, la destra negazionista ha un solo incubo: demolire la figura di Greta, la marionetta manovrata dal solito Soros, e insieme a lei liquidare con la pernacchia del cinismo “adulto” tutti i “gretini” che le vanno dietro (salvo poi piagnucolare, da sedicenti moderati per talk show, perché signora mia, questi giovani non hanno più valori). Dal governo, la sinistra riformista ha un solo sogno: promettere un velleitario “Green New Deal” che purtroppo non può garantire (infatti il maxi decreto-clima da 19 miliardi è già diventato mini, ridimensionato nelle risorse e osteggiato dalle corporazioni). Nel frattempo intellettuali pensosi e opinionisti d’accatto discutono su cosa implichi la giustificazione scolastica per chi ha scioperato (come fa inopinatamente anche Massimo Cacciari), non su cosa significhi quel milione di ragazzi che scendono in strada senza seguire nessun pifferaio magico, ma semplicemente ascoltando l’appello di una coetanea (come osserva giustamente Marco Revelli). Invece è proprio qui che è custodito quel formidabile “deposito di democrazia” cui i partiti dovrebbero attingere. Quelle 180 piazze sono il “luogo” materiale e morale nel quale le famose élite possono provare a riempire l’abisso che hanno scavato in questi anni tra loro stesse e la società civile. L’abisso che ha consentito al populismo grillino e al sovranismo salviniano di prosperare e poi congiungersi al governo del Paese, all’insegna del comune furore anti-politico. Di fronte al vuoto, riempito dalle prediche futili dei profeti dell’odio contro “il sistema”, i giovani sono stati i primi a ritrarsi nella loro ridotta demografica (in Europa gli elettori con meno di 25 anni sono solo 39 milioni). A rifugiarsi nei loro mondi nascosti (un giovane su due non ha votato alle elezioni 2018), o a fuggire in altri mondi lontani (250 mila cervelli sono emigrati all’estero in dieci anni). Ora, quel milione che ha cantato in coro “su Marte vacci tu” racconta tutt’altro. Certo, in quel magma ci saranno anche quelli che approfittano per saltare la scuola e se ne fregano del clima. Ma al fondo di quella rabbia composta c’è un avvertimento, oltre che un allarme: noi stavolta ci siamo, vogliamo partecipare alla vita pubblica, vogliamo contare nelle vostre decisioni, e chiedere conto di ciò che fate e farete. Se nella politica, e soprattutto nella sinistra, ci fossero leader all’altezza del compito, non lascerebbero cadere nel nulla questo bisogno di partecipazione. Ripartirebbero da qui, da questa straordinaria occasione che gli piove dal cielo intossicato dal CO2 , per riallacciare i fili strappati della rappresentanza. Non lasciando Greta da sola, come ha scritto ieri Eugenio Scalfari. Prendendo finalmente sul serio quei ragazzi, che marciano disorganizzati e spontanei per una causa giusta. Non abbandonando gli studenti delle università e dei licei in balia di CasaPound, di Forza Nuova o delle reti dell’ultrasinistra antagonista. Vale lo stesso concetto che ha usato qualche giorno fa Pierluigi Bersani, in un’intervista a Repubblica in cui parlava di tutt’altro: «Credili migliori, diventeranno migliori». Ma forse loro lo sono già. Al contrario di noi.