Massimo Veronese

Non vuole sulla tavola degli americani, e tantomeno sulla sua, pecorino romano, parmigiano reggiano, provolone, prosciutto italiano. E se te ne freghi, ma sei del Minnesota o del Wisconsin, puoi portarteli a casa solo a caro prezzo, passando per il cappio dei dazi, come se le squisitezza made in Italy, il San Daniele o il Valpadana dop, fossero Most wanted come Bonnie e Clyde. Ma Trump, si sa, a volte parla come mangia, e quello che mangia è junk food, cioè patatine, hamburger, Big Mac, Quarter Pounder, Kentucky Fried Chicken, vantandosene pure sui social, come se lo facessero gli homeless con gli avanzi trovati nel cestino della spazzatura. Il Commander in… chef perfetto di una nazione che ha due terzi della popolazione obesa, o comunque sovrappeso, che alla mattina viene istigata a consumare pollo fritto e Pepsi dal business che ingrassa la pubblicità e la sera fustigata dalla morale dietetica perché ha mangiato troppo e digerito male. Il problema, per noi, ma soprattutto per loro, è che The Donald non è un’eccezione. Se guardi come mangiano loro, gli imperatori repubblicani della Potenza delle potenze, il grande fast food americano che produce più cibo di qualunque altro nel mondo a prezzi da discount, la fame un po’ ti passa. Lyndon Johnson, il presidente cowboy, per esempio sballava per isundaes, coppe di gelato extra large dove la frutta si mescola con le noccioline ed entrambe si tuffano dentro cascate di cioccolato. Roba da far volare la glicemia ad altezze da Air Force One. Pare avesse un appetito da Polifemo e amor profano anche per le scorpacciate di carne alla brace alla texana. Come Ronald Reagan innamorato di robuste zuppe di carne tritata. Richard Nixon, più sobrio, aveva invece un debole per la patata al forno che andava però cucinata, come raccontava Henry Haller, lo chef svizzero della Casa Bianca dal 1966 al 1987, secondo la ricetta di sua mamma Hanna, che era quacchera, quindi niente alcol, balli e parolacce: cotta in forno fino a diventare morbida dentro. Poi, una volta schiacciata, mescolata con burro, pepe, sale, noce moscata e un goccio di latte e di nuovo infornata, dopo averle restituito la forma di patata, con sopra formaggio parmigiano, paprica e prezzemolo. Non più di una novantina di calorie. Dicono che l’abitudine conservasse il bambino che era in lui quando «eravamo poveri, ma la fortuna era che non sapevamo di esserlo». Forse anche per questo Tricky Dick voleva che i piatti che gli servivano in tavola avessero nomi che riempissero la bocca: Filet de boeuf Prince Albert, Beef Stroganoff e via masticando. Era un gran consumatore di Campari e odiava a morte i ravanelli che bandì dalla Casa Bianca quasi fossero agenti del Kgb. Non è vero invece, come insinuavano i nemici per dare un’aria barbarica alla sua dieta, consumasse ricotta con il ketchup. E che facesse servire per gli ospiti vino della California a basso costo, mentre la sua bottiglia aveva l’etichetta californiana, ma dentro prelibatissimo nettare francese. A Jimmy Carter, nonostante avesse venduto noccioline e si malignasse di lui che non fosse capace di camminare e mangiare chewing gum nello stesso tempo, piaceva molto il goulash di melanzane. Dicono che oggi, a 92 anni, faccia la spesa nei discount. Anche Gerald Ford, l’omone della prateria che portò fuori l’America dal Watergate, a tavola non scherzava: nella vita era sopravvissuto ai kamikaze giapponesi, a un tifone che distrusse la nave dov’era imbarcato, a due attentati e a tre ictus, come potevano fargli paura portate super caloriche tipo peperoni farciti a manetta e panini di bacon con panna acida. Scontava i peccati di gola con una massiccia attività sportiva, qualcuno sosteneva invece facesse sport solo per farsi venire fame. Meno sensibile ai piaceri della gola, molto di più a quelli della carne, era John Kennedy. Jacqueline al contrario se entrava in cucina a Marta’s Vineyard mentre si sbucciavano i piselli li mangiava subito crudi com’erano, tanto che glieli facevano trovare apposta. Una volta tornò da una vacanza eccitatissima per aver scoperto i cibi precotti. La sbalordiva il fatto che fosse sufficiente infornare una confezione e tirarla fuori dopo un attimo per avere tutto, dalla zuppa al dessert. La deliziosa era lei. Se Barack Obama è talmente disciplinato a tavola da essere preso in giro da Michelle per le sette mandorle salate che mangia prima di andare a letto, Bill Clinton, che pure era allergico al latte, era famoso come Trump per finire le serate da Mcdonald’s. A proposito di Obama: Michelle era cosi ossessionata dal desiderio di offrire esempi educativi alla nazione che mise in piedi un orto direttamente nei giardini della Casa Bianca. Peperoni, pomodori, spinaci, zucchine, fagiolini, fragole, tutti a metro zero per Mister President, forse per quello rimasto sempre magretto e allampanato. Ma in privato, rivelava Rick Bayless, chef messicano della coppia da trent’anni, Barack si strafogava di Strangozzi, i ravioli e le tagliatelle con sughi piccanti. Michelle invece le salse le preferisce a base di avocado. Il Washington Post una volta pubblicò la foto del congelatore dei Bush: il contenuto, diviso rigorosamente in due aree, mostrava in modo chiaro le opposte abitudini alimentari di George e Laura. Nel lato del presidente c’erano un tacchino intero, un pollo, della pancetta e un grosso pezzo di formaggio. In quello di Laura: insalata con avocado, lamponi, alcune foglie di lattuga, una fetta di anguria, gli avanzi di un dolcetto alle mele. Gli Stati Uniti fanno sempre la cosa giusta dopo che hanno esaurito tutte le alternative diceva Winston Churchill. Alla lunga, vedrete, vinceranno pecorino romano e parmigiano reggiano.