Matteo Renzi

Avere evitato elezioni anticipate in piena sessione di bilancio è stato un miracolo e soprattutto un toccasana per l’economia. I mercati hanno brindato, lo spread è sceso, l’Europa è tornata a fidarsi. E il fatto che alla guida del Mef ci sia una persona seria come Roberto Gualtieri è un grande passo in avanti. Archiviata l’illogica pretesa di Salvini e le farneticanti dichiarazioni sull’euro dei suoi consiglieri ora bisogna correre. Perché abbiamo un’emergenza crescita molto seria. E va affrontata subito. Italia Viva sostiene l’Esecutivo e lo incalza non sulle poltrone, ma sullo sviluppo. Individuo due punti chiave: sul breve periodo la crescita del Pil attraverso lo sblocco degli investimenti. Sul medio periodo la crescita demografica, vera catastrofe italiana. Andiamo con ordine. Partiamo dalla crescita economica. Chi dice che l’Italia non cresce da vent’anni mente sapendo di mentire. Con le nostre manovre di bilancio l’Italia è cresciuta. Come ha ricordato il professor Fortis su questo giornale, nel triennio 2015- 2017 abbiamo registrato un ciclo di crescita record nei consumi delle famiglie, negli investimenti fissi lordi, nel valore aggiunto dell’industria manifatturera, nel commercio. E il Pil ha raggiunto nel 2017 quota +1,7%. La fallimentare esperienza del governo sovranista ci ha invece isolato nel mondo e riportato la crescita a zero. Il Nord ha rallentato la sua corsa, e le fratture tra aree geografiche e generazionali sono aumentate. Questo peserà maggiormente su famiglie, e fasce fragili della popolazione. Dunque non tutti i governi sono uguali. Se si fanno misure pro-business, la crescita arriva. E con la crescita, aumentano i lavoratori. Abbiamo oggi solo una strada: un gigantesco piano di investimenti, pubblici e privati. E il bello è che i soldi ci sono: il blocco è esclusivamente di natura burocratica o politica. Ci sono 36 miliardi di euro da spendere nelle grandi opere. Non solo la Torino-Lione, intendiamoci. Penso alla SS 106 in Calabria, a parte della Napoli-Bari, all’Alta velocità tra Veneto e Lombardia, al Terzo valico in Liguria, alle opere pubbliche ferroviarie e stradali ritardate in Sicilia. Penso anche al piano di infrastrutturazione digitale, vero volàno contro l’abbandono e lo spopolamento di intere aree del Paese; alla politica energetica; a sbloccare il piano periferie nei comuni; a rimettere in funzione le unità di missione sul dissesto idrogeologico (Casa Italia) e sull’edilizia scolastica; ad assicurare un piano Casa che dia certezze ai privati dopo l’abolizione dell’Imu, ma anche prospettive all’edilizia residenziale popolare. Non si tratta di trovare le risorse, ma di spendere bene quelle che già ci sono. E garantire leadership adeguate ai centri di spesa a cominciare dalle Ferrovie, vera azienda strategica in cui il cambio di vertice deciso da Toninelli e Tria si è rivelato un autogol incomprensibile. Si dice che in Italia non si possano fare i lavori. E spesso è vero per responsabilità di un assurdo risiko politico-amministrativo. Ma laddove si creano le condizioni di “pax burocratica”, la qualità delle aziende, la capacità dell’ingegneria e l’abilità dei lavoratori consentono risultati strabilianti. Ciò che sta accadendo a Genova, dove il bellissimo ponte di Renzo Piano prende forma in tempi da record, rappresenta non soltanto il riscatto di una città, ma anche un modello per le opere pubbliche almeno quanto Expo ha segnato la ripartenza di Milano nel 2015. Se applicassimo il modello Genova ai 36 miliardi di euro di opere pubbliche bloccate o rallentate avremmo una crescita del Pil di almeno il 2% per i prossimi cinque anni. Il recente “Progetto Italia” al quale ha lavorato bene la Cdp può consentire in prospettiva di consolidare il settore e recuperare migliaia di posti di lavori persi durante la crisi. Su questi temi alla Leopolda, dal 18 al 20 ottobre, presenteremo un Piano di investimenti sostenibili più ambizioso di quello lanciato da Angela Merkel per il governo tedesco. La Germania è molto più in ritardo dell’Italia rispetto al target di riduzione di emissioni inquinanti. Per questo dobbiamo puntare in alto: vogliamo fare meglio della Germania, possiamo farlo. Serve un piano di investimenti legato a misure fiscali stabili, superando il metodo fino a ora utilizzato di incentivi frammentati e limitati nel tempo. Da progettare con le imprese, la sostenibilità ambientale e sociale non deve essere un costo, ma un’opportunità. Conto molto sulla tenacia e sull’intelligenza dei ministri Paola De Micheli e Stefano Patuanelli. Il secondo obiettivo che deve trovare già dalla prossima legge di bilancio è quello della crescita demografica. Abbiamo dimezzato in qualche decennio il numero dei bambini nati in Italia. Pessimo segnale. Per ripartire, ovviamente, non basta un emendamento. Ma credo che il primo stanziamento di almeno un miliardo di euro in favore del “Family Act” al quale lavora bene la ministra Elena Bonetti sia un dovere civile. L’attenzione alle persone con disabilità, agli anziani, alle donne, alle mamme e ai papà, ai servizi nelle città, così come nelle aree rurali, agli assegni per i figli, è una delle ragioni costitutive di Italia Viva. Ripartire insomma dai bisogni delle persone. Non sarà un miliardo all’anno a invertire il trend demografico spaventoso, ma sarà un primo passo di cui tutti avvertiamo l’importanza e che sarebbe bello votare tutti insieme, anche con l’opposizione. Perché sulle misure per i figli dovremmo essere tutti d’accordo: sono il nostro futuro, e i ragazzi se lo meritano. Crescita, crescita, crescita. Aver mandato a casa Salvini ha tolto la pressione dei mercati. Ma guai a cantar vittoria: ora bisogna crescere! Italia Viva non si occupa di poltrone, ma si preoccupa della crescita. Crescita economica, crescita demografica, crescita educativa e culturale. Perché la decrescita non è mai felice. E per l’Italia, adesso, è tempo di rimettersi a correre.