Michelangelo Borrillo

«Più che semplici dazi, l’Europa agroalimentare si trova a dover fronteggiare una politica economica statunitense finalizzata a valorizzareiprodotti americani, uno su tutti il Parmesan al posto del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano. Per questo l’Italia e l’Europa devono affrontare la sfida in sede di Wto, con regole comuni all’interno di un mercato globale, ma anche stanziando le risorse necessarie, sia per un fondo di emergenza sia per sfondare in nuovi mercati che compensino il calo delle esportazioni negli Usaacausa dei dazi». Che, per i l p r esident e d i Confagricoltura Massimiliano Giansanti, sono quantificabili in una perdita di quote di mercato tra il 10 e il 15% nei prossimi 4 mesi, pari a circa 60 milioni di dollari. Presidente, qualche settimana fa si pensava che il conto potesse essere più salato. Bisogna essere più preoccupati per i dazi partiti il 18 ottobreotirare un sospiro di sollievo per i settori graziati? «È vero, il conto sarebbe potuto essere più salato se avesse riguardato anche i vini. Ma comunque i dazi vanno a colpire due grandi settori dell’agroalimentare italiano, formaggi e salumi. Senza dimenticare gli agrumi, con la California che fa concorrenza all’Italia». Su Parmigiano e Grana si preannuncia una stangata: come fronteggiarla? «Contro Parmigiano e Grana è evidente come sia in atto una grande guerra commerciale per favorireiproduttori americani del Parmesan. La riprova la sièavuta con la lettera che la Nmpf, l’associazione dei produttori di formaggio Usa, ha scrittoaTrump per sostenere le politiche economiche del presidente americano che consentiranno di valorizzareiloro prodotti. Un sospiro di sollievo, per loro, visto che nei primi 8 mesi del 2019 le importazioni in Usa delle principali Dop italiane erano cresciute del 18%». C’è da temere per l’affermazione del Parmesan a scapito dei formaggi italiani? «Ad agosto le esportazioni dei formaggi negli Usa sono cresciute dell’87%, anche in vista dei dazi: gli americani ne hanno fatto incetta, a conferma di quanto sul mercato vengano preferito il Parmigiano e il Grana al Parmesan. La qualità paga sempre, anche se non sempre basta». In che senso? «L’Italia può contare su prodotti a più valore aggiunto e quindi più svantaggiati dai dazi. Per questo serve una valutazione politica del governo, è importante che si definisca velocemente una strategia di fronteadue mondi ormai separati: mentre in Italia tuteliamo le indicazioni geografiche, negli Usa si tutela il marchio, il brand». Come si può reagire? «Dobbiamo innanzitutto augurarci che possa essere riaperta stagione delle trattative multilaterali. Con le trattative bilaterali, in caso di guerre commerciali, gli ostacoli diventano insormontabili. Allora servono regole comuni all’interno di un mercato globale per superare le bilateralità che hanno portato Usa e Cina a guerreggiare tra loro. Occorre una grande azione politica perché l’Europa possa riaprire le trattative al Wto. E poi servono risorse». Per cosa? «Abbiamo bisogno che la Ue si doti di un fondo di emergenza per evitare quella guerra fratricida all’interno dell’Europa che gli Usa auspicano. E poi servono altre risorse per promuovere i prodotti europei in nuovi mercati che sopperiscano al calo dell’export in Usa: dall’India al Far East al Centro America». La guerra sui prezzi potrebbe avere effetti sulla sicurezza alimentare? «L’Italia è il motore agroalimentare dell’Europa, conipiù elevati standard di qualità. Questo porta ad essere meno competitivi rispettoachi non rispetta standard di qualità e regole del lavoro. C’è quindi un tema di produttività e competitività da affrontare, e per far questo chiediamo da tempo al governo un nuovo piano strategico agroalimentare in cui trovino ampio spazio innovazione, digitalizzazione, ricerca e scienza per una maggiore sostenibilità riducendo la chimica così come i chiedono i consumatori. Anche per questo chiediamo che nella manovra vengano mantenute le agevolazioni che il settore ha sempre avuto, proprio per investire in innovazione. E poi bisogna intervenire sul cuneo fiscale, perché i nostri competitor hanno costi di manodopera più bassi, in termini di oneri, e questo li avvantaggia».