Michele Battini
Dilemma della nostra epoca: garantire alle persone i diritti fondamentali di protezione sociale, prescindendo dal loro lavoro. Molteplici attività che non siamo abituati a ritenere lavoro hanno avuto un riconoscimento sociale, perché di interesse collettivo, e a chi le svolge si devono garantire dignità e sussistenza, evitando però derive assistenziali. Ciò significa che cittadinanza e sicurezza sociale (un tempo si chiamavano welfare) non possono più essere legati al lavoro, devono riferirsi alla persona in quanto tale per accompagnarla lungo tutta la vita, ed essere continuamente ripensati, riformulati.
Progettare retrocedendo: pensare i nuovi diritti sociali tornando alla nascita stessa delle idee di suffragio universale, tolleranza, autonomia della persona. Alla prima rivoluzione moderna, addirittura, a quella inglese del 1642-48 e ai suoi esplosivi profeti, i Livellatori, i Levellers .
Dei Levellers tratta Michael O’ Sullivan, economista a Princeton, in Levelling. What is Next after Globalization . O’ Sullivan scrive di crisi della globalizzazione, di tendenze verso un mondo multipolare, di conflitti tra macroaree economiche. Ipotizza un dualismo tra Stati che definisce Leviathans ( a forte crescita economica, però a spese di diritti e libertà) e Stati Levellers (società aperte dove la garanzia di diritti si paga con la bassa crescita). Poiché le istituzioni internazionali sono incapaci di affrontare la transizione, auspica la cooperazione tra i Levellers , per concertare nuove relazioni internazionali e contrastare le propensioni mercantilistiche.
A sua volta Yael Tamir, scienziata politica a Tel Aviv, in Why Nationalism?
denuncia l’ambiguità del consenso al protezionismo doganale e alle serrate delle frontiere decise dai Leviatani contro merci, conoscenze e persone: borghesie finanziarie e d’impresa sollecitano «la difesa dell’economia nazionale », ma lo fanno anche i salariati, i ceti medi e le classi sociali vulnerabili, che hanno un vitale bisogno di reti istituzionali per difendersi da decrescita dei redditi, caduta delle tutele sociali, disoccupazione.
Neonazionalismo e protezionismo di oggi sono risposte sbagliate alla domanda da cui nacquero le politiche di welfare, cristiano-sociali o socialiste, inventate dal partito socialista svedese negli anni ’30, riprese dopo la Seconda guerra mondiale dalla Spd tedesca, dal Labour britannico e da molte socialdemocrazie: presupponevano che il capitalismo avesse risolto la questione della crescita economica e pertanto tentavano di realizzare pieno impiego, redistribuzione di redditi, diritti attraverso lo Stato e la contrattazione sindacale.
Quei diritti sociali rimanevano però subordinati alla posizione occupazionale: la cittadinanza “industriale” presupponeva l’identificazione del cittadino nel lavoratore e di tutti i lavori nel paradigma del lavoro industriale. Negli anni ’80 la crisi fiscale dello Stato e l’inflazione fecero fuori questo modello che tutelava chi era dentro (salariati garantiti) ma non chi era fuori (giovani, disoccupati, precari).
Anche per questo oggi il mondo dei lavori senza tutele sembra quello ottocentesco della prima rivoluzione industriale, torna la servitù feudale dei braccianti, mentre intelletti sintetici e robot diffondono la paura che le persone non servano più.
Ecco perché i diritti non possono più essere legati al lavoro. E qui il passato appare ricco di promesse ben più del futuro. Nel 1647, i Levellers (contadini e artigiani dell’esercito parlamentare ribelle a Carlo I) con l’ Agreement of the People rivendicarono suffragio universale, libertà per i dissidenti religiosi, diritto a un’occupazione.
Le rivendicazioni prima che giuridiche erano morali, fondate non sul lavoro, ma sulla self-property, la proprietà di ogni essere umano su se stesso, l’autonomia della persona.
Autonomia della persona e diritto al lavoro innervarono la riflessione europea sulla cittadinanza sociale anche nell’età industriale. Poi il criterio dell’autonomia riapparve in Italia nell’opposizione antifascista: aveva un’accezione morale prima che giuridica. Nel programma di Giustizia e Libertà si applicava a Stato (autonomia locale), economia (autogoverno operaio nei consigli) e società (rappresentanza diretta e parlamentare). Nell’articolo 3 della Costituzione repubblicana (il capolavoro di Lelio Basso), autonomia della persona significa rimozione di ogni ostacolo al pieno sviluppo del cittadino: la legge conquista l’uguaglianza in un ordine sociale dove l’uguaglianza non c’è, quindi è lavoro solo quello che garantisce alla persona un’esistenza piena e libera. Diritto al lavoro e i diritti sociali non sono “aggiunti” ai diritti civili e politici, ma presupposti di una cittadinanza integrale, senza cui la struttura stessa della democrazia cede.
Dopo il Sessantotto la Costituzione entrò nelle fabbriche e nella società, con lo Statuto dei lavoratori, la legislazione pensionistica e altre straordinarie leggi di riforma. Fu — si sa — una breve stagione. Vennero poi i contratti a termine nel 1977, il blocco della contingenza nel 1984, infine la liberalizzazione del mercato del lavoro con il pacchetto Treu (1997), la legge Biagi (2003), il Jobs Act (2015). Così precarietà, deregolazione giuridica, frantumazione dei lavori dominano oggi la scena della Quarta Rivoluzione Industriale come al tempo della Prima, ma le vecchie risposte dei diritti sociali legati al lavoro sono improponibili.
Non per caso il Rapporto Supiot 2016 per la Commissione Europea, “Il futuro del Lavoro”, propone «una nuova generazione di diritti sociali» collegando cittadinanza sociale e diritti al lavoro, riferendosi non al lavoratore ma alla persona in quanto tale, prescindendo dallo status occupazionale. Diritti ispirati a valori che sembrano proprio quelli dei Levellers.
L’ultimo libro dell’autore è Necessario Illuminismo. Problemi di verità, problemi di Potere (edizioni di Storia e Letteratura)