Morya Longo

«Nel mondo militare esiste un detto: se fai la guerra con le pistole, è meglio avere più pistole possibili. Nelle guerre commerciali funziona lo stesso meccanismo: gli Stati Uniti dovrebbero farsi più alleati per chiudere la contesa con la Cina nel migliore dei modi possibili. Perché l’accordo deve portare benefici agli Stati Uniti, alla Cina e al mondo intero». Per il generale David Petraeus spiegare un concetto utilizzando aneddoti militari è naturale. Capo delle forze armate statunitensi in Iraq e in Afghanistan dal 2007 al 2011, direttore della Cia dal 2011 a fine 2012 (da cui si è dovuto dimettere) e oggi presidente del colosso di private equity Kkr, Petraeus ha il mondo militare nel sangue. Le sue logiche, i suoi meccanismi. Ma ha anche una visione molto profonda delle questioni geopolitiche. Tranquillizza dunque sentire dalle sue labbra che un accordo a tutto tondo tra Stati e Cina è possibile. Che i mercati finanziari fanno bene a non spaventarsi troppo. Perché entrambe le potenze hanno troppo da perdere in caso di escalation. Lo abbiamo incontrato sulle sponde del Lago di Como, al Forum Ambrosetti di Cernobbio. Dove Petraeus ha toccato tutti i grandi temi della geopolitica. Dallo scontro Cina-Usa a Brexit, addentrandosi anche nel nuovo campo di battaglia dei giorni nostri: il cyber-spazio. La nuova Guerra Fredda Lo scontro tra Cina e Stati Uniti è – a suo dire – il principale tema geopolitico di oggi. Perché non è sentito solo da Donald Trump: «Negli Stati Uniti è molto diffusa la consapevolezza che la Cina si sia sempre comportata in maniera non equa. Dunque il problema va risolto». Le modalità negoziali però creano molta apprensione, ma Petraeus getta acqua sul fuoco: «Molto di questo tira e molla tra Trump e Xi Jinping fa parte della tecnica negoziale. La contesa è risolvibile, ma le questioni sul tappeto sono così tante che sarebbe bene allargare le discussioni ad altri Paesi. Io ho guidato la coalizione in Afghanistan, e so bene che le alleanze portano via tempo e creano spesso frustrazioni. Ma alla fine portano risultati». Il ragionamento di Petraeus è lineare: la contesa tra Stati Uniti e Cina non è solo commerciale. Questa è solo la punta dell’iceberg. Si tratta infatti di una contesa anche tecnologica, per la supremazia tra le due superpotenze. Ma è anche una guerra fredda che tocca mille altri aspetti: dalla tutela della proprietà intellettuale alle supply chain globali. E per risolvere questioni così ampie, in un mondo che sta spostando il baricentro a Est, è necessario il multilateralismo. Cioè: alleanze. La guerra uno contro uno non porta benefici. Anche perché la posta in palio non è solo commerciale: «Qui si rischia la balcanizzazione di Internet e delle infrastrutture tecnologiche – spiega Petraeus -. È fondamentale che i leader riconoscano i rischi e impostino strategie di lungo periodo. Ed è importante anche comprendere le legittime esigenze della Cina, che chiede più peso nelle istituzioni globali». Questo – secondo Petraeus – non significa che si debbano ridisegnare da capo le istituzioni multilaterali: «Qualche aggiustamento, per esempio nei meccanismi di voto dell’Fmi, andrebbe fatto ma non credo serva una chirurgia estrema su queste istituzioni», osserva Petraeus. Ma un sistema di alleanze serve. Per il bene di tutti. «Ormai non siamo più ai primi del 900 – ribadisce -, siamo nell’era nucleare e passare da una guerra fredda a una calda sarebbe impensabile. Serve un dialogo strategico e costruttivo. Con tutti». Per questo Petraeus è convinto che alla fine un accordo si troverà. Mercati sereni Ma non c’è solo la questione commerciale a infuocare la geopolitica, non ci sono solo Usa e Cina. Più incerto ancora è lo scenario inglese: «Brexit potrebbe essere dirompente per l’economia europea, ovviamente dipende da come sarà realizzata – osserva -. Quello che più preoccupa è che Brexit possa cambiare la relazione speciale che lega Stati Uniti e Gran Bretagna. Gli inglesi sono sempre stati il primo alleato in tutti gli scenari di guerra, avevo sette vice quando guidavo le forze armate in Iraq e Afghanistan. La speranza è che questo non cambi». A suo avviso non è invece un tema rilevante, a livello internazionale, l’incertezza politica italiana: «L’Italia ha energia e dinamismo nella classe politica e una capacità di auto-controllo molto forte, come in tutte le democrazie. Non credo dunque che possa essere un problema. Anzi ripongo molte speranze su questo Governo, credo che possa portare avanti le riforme necessarie». A suo dire è dunque normale che le Borse, nonostante le incertezze geopolitiche ed economiche, siano tutt’ora vicine ai massimi storici: «I mercati sono ben consapevoli del contesto geopolitico – osserva -. Capiscono le sfide, ma alla fine dei conti vedono che le aziende continuano a produrre utili, che l’occupazione negli Stati Uniti è solida e che la fiducia dei consumatori tiene. Se Wall Street è vicina ai massimi i motivi ci sono». Le sfide del futuro Ma Petraeus guarda anche avanti. Al nuovo campo di battaglia globale: il cyber-spazio. «Una volta c’erano terra, aria e mare per i conflitti globali – osserva -. Oggi c’è anche il cyber-spazio: riconoscerlo è importante. Un terreno di battaglia quotidiano: basta pensare che ogni giorno ci sono attacchi hacker in qualche parte del mondo, tentativi di rubare dati a persone o aziende, portare via l’identità digitale, interferire nelle elezioni dei Paesi. Nel mondo cibernetico è impossibile distinguere i periodi di pace o di guerra. E lo sviluppo dell’intelligenza artificiale rischia di rendere la situazione sempre più complessa». È necessario che l’intelligenza artificiale sia guidata da quella umana: «Il bottone deve averlo sempre in mano l’uomo – osserva -. Questo oggi preoccupa guardando al futuro». A suo avviso tutte le potenze mondiali usano questo canale come nuovo campo di battaglia: Russia, Stati Uniti, Cina, Iran. E non bisogna essere uno Stato per combattere nel cyber-spazio: «Basta pensare a come l’ha usato l’Isis», osserva.