NOA AGNETE METZ NUUK (GROENLANDIA)

Aumentano gli investimenti di Pechino sulla capitale Nuuk, in risposta al tentativo di Trump di comprare il territorio della calotta glaciale Petrolio, minerali e basi aeree nei ghiacci Nella Groenlandia contesa fra Usa e Cina.

L ’accordo sull’utilizzo della Groenlandia, che gli Stati Uniti hanno con la Danimarca, sembra non bastare più. Tutta colpa dell’apertura del Passaggio a Nord Ovest, di grande interesse per i cinesi, e del riarmo russo con basi militari nell’Artico. Il problema non è solo che il territorio (autonomo, ma sotto controllo danese) non è in vendita come vorrebbe il presidente americano, ma che nel mezzo ci sono i groenlandesi, e a corteggiarli direttamente ci hanno pensato prima i cinesi. Nel 2020 gli Stati Uniti riapriranno, nella capitale Nuuk, il consolato chiuso alla fine della Guerra fredda. Gli americani, in verità, non sono mai andati via. Thule, la base più nota a Nord del circolo polare che ospita un sistema radar antibalistico, è solo uno dei 50 siti d’interesse che nei decenni hanno visto una presenza militare Usa. La libertà di costruire basi e di abbandonarle, spesso senza neanche bonificare, con danni notevoli per l’ambiente (i locali chiamano fiori americani i barili di petrolio vuoti sparsi sul territorio), è fondata su un’intesa con la Danimarca. Il contributo di Copenhagen alla Nato si paga in natura, fornendo assistenza logistica e mantenendo riserbo sui movimenti Usa. A Nuuk un sole mite di fine agosto splende sulle strade dove si sente parlare groenlandese e danese interrotto soltanto dalle voci di qualche americano in crociera e da una coppia italiana, in abbigliamento tecnico degno di una spedizione artica, che discute ad alta voce. I bar in centro sono due, bastano pochi turisti per mandare in tilt le file al caffè. In un ufficio del piccolo parlamento groenlandese, il leader del principale partito d’opposizione, Inuit Ataqatigiit, ci racconta la versione locale degli ultimi eventi. Si chiama Mùte B. Egede, ha 32 anni, viso inuit mescolato a tratti scandinavi e un cognome danese che risale ai primi missionari sbarcati 300 anni fa: è il ministro delle Risorse naturali nel governo precedente, conosce bene i cinesi, i quali vorrebbero contare sulla Groenlandia per la nuova Via della Seta. Anziché trattare con il governo danese vengono direttamente sul ghiaccio per capire dove investire, col risultato che oggi i cinesi fanno parte di diversi consorzi minerari. Il sottosuolo della Groenlandia promette un nuovo Klondyke di minerali, tra cui le cosiddette terre rare per i nostri smartphone. Gli abitanti vogliono più sviluppo, per fare a meno dei sussidi danesi e poter dichiarare l’indipendenza. Che i soldi siano di provenienza cinese, americana o danese importa meno, ed è proprio qui, sul piano della politica estera, che gli interessi di Nuuk e Copenhagen non sembrano coincidere più. Dopo aver sollecitato invano fondi dalla Danimarca per rinnovare gli aeroporti e cambiare il flusso del traffico aereo, la Groenlandia ha trovato finanziamenti in Cina. A quel punto, i danesi hanno bloccato l’appalto cinese, finanziando i lavori con fondi in parte pubblici. Qui l’offerta d’acquisto di Trump è stata ricevuta con stupore, ma anche con orgoglio. La Groenlandia è diventata una carta decisiva per la Danimarca e proprio questo, secondo il leader politico groenlandese, porterà a una rinegoziazione dei termini dell’autonomia. Cavarsela da soli, però non è semplice per un Paese di 57.000 abitanti. La strada più lunga è di 51 km, costruita da Volkswagen per testare i motori sulla calotta glaciale e collega quest’ultima con una ex base americana, ora diventata l’aeroporto internazionale di Kangerlussuaq. Al suo interno è ospitata ancora una struttura Usa, dove piloti americani si allenano nell’ambiente artico. Un altro dei motivi che spiega la sensibilità degli Stati Uniti quando si parla di investimenti cinesi nelle infrastrutture. A parte la calotta glaciale, le mete turistiche contano una rampa di razzi abbandonata dalla Nasa e branchi di buoi muschiati. Una guida locale ci spiega che negli ultimi due mesi vi sono stati tre avvistamenti di orsi polari. Erano malnutriti, non si esclude che la colpa sia dei cambiamenti climatici. La corsa cinese non si arresta, mentre Copenhagen sta valutando una richiesta americana per far stazionare dei caccia in Groenlandia. Per ora l’accordo Nato sembrerebbe per lo meno garantire agli americani un contratto d’affitto a tempo indeterminato nel paese degli inuit.