Paolo Baroni

I commercianti sono favorevoli a misure che incentivano la tracciabilità ma anche tra gli esercenti più «evoluti» e aperti ai pagamenti elettronici, come quelli che ad esempio aderiscono al circuito della app «Satispay», resta alta l’attenzione ai costi dei vari strumenti di pagamento. Soprattutto per le transazioni fino ai 25 euro, ovvero quei piccoli importi che proprio in questi giorni sono finiti sotto la lente del governo che punta ad intensificare l’utilizzo della moneta elettronica in chiave antievasione. L’obiettivo dichiarato è quello di recuperare l’anno prossimo all’incirca 4 miliardi dei 33 di Iva che viene evasa ogni anno in Italia e per questo si vogliono incentivare i pagamenti tracciabili. Il caro-Pos, i costi eccessivi che un esercizio commerciale deve sostenere per gestire i pagamenti con Bancomat e carte di credito(che non a caso stentano ad imporsi sul contante), non da oggi è uno dei cavalli di battaglia della protesta dei commercianti. Perché se è vero che in base ad una direttiva europea da fine 2015 le banche devono applicare agli esercenti un prelievo massimo dello 0,3% per le carte di credito e dello 0,2% per bancomat e carte prepagate (con aliquote in proporzione più ridotte per importi sino a 5 euro), è anche vero che il costo delle macchinette tra oneri di installazione e canoni, resta sempre alto. Quanto costa un Pos I prezzi cambiano da banca a banca e a seconda che il Pos rientri in un pacchetto complessivo che comprende anche il conto corrente e magari altri servizi. Un Pos «fisso», se si guarda a titolo puramente indicativo ai principali operatori, con le Poste costa 15 euro al mese più Iva, 28,5 quello di Unicredit, da 9 a 18 quello di Intesa. La versione cordless arriva anche a 40 euro/mese. Per un Pos non appoggiato al conto Unicredit chiede invece 100 euro/mese. In questo modo in un anno un commerciante spende da un minino di 108 ad un massimo di 480 euro a cui occorre poi aggiungere i canoni mensili sui collegamenti: solo per stare a Intesa Sanpaolo in questo caso si va da un mino di 9 (Pos collegato ad una linea analogica) ad un massimo di 40 euro per apparecchio cordeless. Poi ci sono le commissioni applicate sulle transazioni spinte decisamente all’insù da operatori come American Express, Diners o le stesse Poste (che fanno pagare anche più del 2% su ogni operazione). Amex, ad esempio, applica una commissione del 4% sino a 100 mila euro di transato ogni anno, poi scende per gradi sino al 3,85% sopra i 10 milioni di euro. «La tariffa accordata agli esercenti – specifica il loro sito – è in realtà inferiore e solitamente si attesta attorno al 2%». Questo fa sì – sostiene l’Abi – che la media del costo delle commissioni in Italia sfori i «tetti» europei e si attesti attorno allo 0,59%. Confesercenti a sua volta parla di costo medio a carico dei negozi tra lo 0,5 e lo 0,75% del transato. Il caso Satispay La concorrenza dei nuovi strumenti (oltre al pressing del governo) dovrebbe indurre le banche a più miti consigli. Proliferano infatti i sistemi alternativi. Ad esempio Satispay – che proprio ieri ha diffuso i dati di un sondaggio su un campione di 3.500 negozianti, che in maggioranza (65,85) apprezza i nuovi incentivi ai pagamenti elettronici – non fa pagare nulla agli utenti mentre agli esercenti chiede solo una commissione fissa di 20 centesimi a partire da 10 euro di spesa in sù, mentre sotto questa soglia non fa invece pagare nulla. Avviato a fine 2015 questo sistema di mobil payement ha appena superato la soglia degli 800mila utenti registrati con 90 mila esercizi convenzionati in tutta Italia.