Paolo Baroni
Alla fine dovrebbe tenersi stasera il vertice di maggioranza sulla manovra più volte annunciato negli ultimi giorni e poi sempre rinviato. Quanto al consiglio dei ministri, chiamato ad approvare il Documento programmatico di bilancio (che entro il 15 va inviato alla Commissione europea) e a ruota il decreto fiscale, anziché tenersi domani come preannunciato potrebbe slittare a martedì, termine ultimo per spedire il Dpb a Bruxelles. Troppi nodi restano da sciogliere. Su troppe questioni delicate le posizioni tra M5s, Pd e Italia Viva restano infatti distanti. «Il problema di fondo sono i soldi – spiega una fonte di governo -. Bisogna riuscire ad individuare le risorse che mancano per arrivare a coprire tutti e 29 i miliardi messi in preventivo». Braccio di ferro su Quota 100 E così ci sono misure, come la nuova tassa sui telefonini, che nascono e muoiono nel giro di poche ore, ed altre che vivono qualche ora in più. Come la proposta di allungare di 3 mesi le finestre di uscita per Quota 100, portandole a 6 mesi per i lavoratori privati e a 9 per i pubblici (risparmio previsto 500 milioni nel 2020, un miliardo nel 2021), che ieri è stata tassativamente smentita dal ministero del Lavoro, dove pure il giorno prima governo e sindacati ne avevano parlato a lungo. «Lo dico chiaro: non sono all’ordine del giorno modifiche» ha scritto su Facebook il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo. Però se il governo vuole rispondere ai sindacati che chiedono un intervento più incisivo sul cuneo fiscale, la rivalutazione delle pensioni, più flessibilità in uscita per le donne e le detrazioni sui rinnovi contrattuali (si ragiona su una aliquota del 10%), secondo il Tesoro su Quota 100 o altre voci simili (il reddito di cittadinanza?) occorrerebbe risparmiare qualcosa in più del previsto. Per lasciare poi il ricavato all’interno dello stesso perimetro (welfare e lavoro). Per questo, su Quota 100 non è esclusa una mediazione per assicurare a chi matura i requisiti entro l’anno di andare in pensione nel 2020 con le attuali finestre. Perché i conti non tornano Non si aumenta l’Iva e questo è assodato ma, soprattutto Di Maio e Renzi non vogliono sentire parlare di nuove tasse. Al momento, però, a fronte dei 7 miliardi di euro di recupero di evasione necessari per far quadrare il bilancio 2020 il decreto fiscale ne ha individuati poco più di 3. All’appello mancano insomma almeno altri 3 miliardi. Di qui il fiorire di soluzioni più o meno estemporanee. L’idea di sfruttare l’unificazione di Imu e Tasi per fare cassa, ammesso che questa misura finisca davvero nel Decreto fiscale, intanto pare scartata visto che lo scopo principale di questo provvedimento è essenzialmente la semplificazione. E per questo, anziché portare l’aliquota base al 10,6 per mille come ipotizzato giorni fa, ci si è fermati all’8,6 (dal 7,6). Aumento piccolo, utile a dare un poco di fiato ai comuni, ma subito contestato da Confedilizia che parla di «insulto al buon senso, prima ancora che ai proprietari. La patrimoniale sugli immobili, che continuano a perdere valore, va ridotta» non alzata. Non serve a far cassa ma anche sulle manette agli evasori ci sono problemi. I 5 Stelle insistono per inasprire subito le pene inserendo il provvedimento nel Decreto fiscale, il Pd in linea di massima non è contrario ma punta ad un intervento da inserire in una delle leggi delega che accompagnerà la manovra 2020. Un altro nodo delicato che stasera dovrebbe venire al pettine.