Pasolo Valentino
D i t utt e l e questioni che il nuovo governo dovrà affrontare, il rapport o c o n i l Cremlino di Vladimir Putin è fra quelle che meritano priorità. Libero dalle ambiguità e dai silenzi della Lega e di Salvini a proposito di Moscopoli, i presunti finanziamenti illeciti avuti da Mosca sui quali attendiamo che la Procura di Milano faccia luce, l’esecutivo appena insediato deve riprendere con celerità e chiarezza di prospettive il dialogo strategico con la Russia. «A Mosca, a Mosca», gridavano le Tre Sorelle di Cechov. E «a Mosca a Mosca» da qualche tempo sembra essere diventata la parola d’ordine di molti protagonisti della scena internazionale, da Netanyahu a Erdogan, da Modi ai leader del mondo arabo-musulmano a, non ultimo, Emmanuel Macron. Il presidente francese non solo ha accolto in luglio Vladimir Putin a Brégançon alla vigilia del G7 di Biarritz, ma lo ha invitato di nuovo per il prossimo Forum sulla pace in novembre e soprattutto gli ha promesso che sarà sulla Piazza Rossa nel maggio prossimo per le celebrazioni del 75mo anniversario della vittoria sovietica nella Seconda guerra mondiale. La Francia poi è stata fra i più convinti sostenitori del ritorno della Russia nel Consiglio d’Europa. Putin non è rimasto insensibile, come dimostra lo scambio di prigionieri tra MoscaeKiev, che ha aperto la strada a un nuovo tentativo di rilanciare il processo di pace in Ucraina, con un vertice nel formato Normandia tra Macron, il leader russo, la cancelliera Merkel e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che si terrà a fine mese a Parigi. La recente visita a Mosca dei due ministri francesi della Difesa e degli Esteri ha formalizzato il nuovo corso. Cosa c’è dietro tanto attivismo? Perché il capo dell’Eliseo, che pure non è mai stato cedevole verso Putin, tenendo sempre il punto sulle violazioni dei diritti umani e della legge internazionale, cerca di ricondurre Mosca nell’equazione diplomatica europea? Perché dopo aver preso parte attiva al suo isolamento, Macron cerca ora di ristabilire il dialogo strategico con il Cremlino? Cosa spinge il leader francese a riconoscere la verità elementare, ma fin qui negata dai fautori dello scontro, che «i russi hanno vissuto come una forma di aggressione l’espansione a Est della Nato e la strategia dell’Ue» verso l’Ucraina e altri Paesi dello spazio ex sovietico? È il quadro geopolitico in piena mutazione a motivare la démarche macronista. Putin è in affanno. Il nazionalismo interventista che ne ha consolidato il potere, dall’Ucraina alla Siria, si è scontrato con le debolezze strutturali dell’economia russa. Lo scontento interno aumenta, le elezioni comunali sono state uno schiaffo per il partito del presidente. Lo Zar ha bisogno di aiuto e sempre di più lo cerca nel l’abbraccio subalterno con Pechino. Un’alleanza che l’Europa deve assolutamente cercare di arginare, offrendo a Mosca sponde economiche e strategiche. Secondo, nel mondo della conflittualità tra Stati Uniti e Cina, due sistemi politici tra loro incompatibili, si delinea una nuova Guerra fredda. Ma come osserva l’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer, «questa volta lo scontro è su quale dei due sistemi sarà in grado di superare l’altro in termini di innovazione tecnologica e progresso materiale». Nel nuovo quadro bipolare, che cercherà anche forme di intesa, l’Europa rischia di rimanere schiacciata. L’unica chance è un’alternativa multipolare dove il dialogo strategico con Mosca è fondamentale. Infine, il «decoupling» tra le due sponde dell’Atlantico, con la fine della garanzia americana e il crollo del sistema di controllo degli armamenti nucleari. La futura architettura della sicurezza, cui Washington vuole associare Pechino, non può vedere l’Europa passiva. Come dice Angela Merkel, essa «deve riprendere in mano il proprio destino». Macron vuole farlo anche riattivando il canale con la Russia, che nonostante tutto rimane potenza europea. Senza peccare di ingenuità o cedere alle velleità egemoniche di Putin, «a Mosca, a Mosca» non è quindi solo una suggestione. Macron ci crede e ci prova. Ma l’Italia, che in fondo più di ogni altro Paese europeo ha sempre tenuto aperto il dialogo con il Cremlino, non può lasciare che sia solo l’audace presidente francese a pilotare il nuovo, indispensabile reset con la Russia.