Pietro Senaldi

«Bimbi sottratti ingiustamente ai genitori? Ci sono tanti casi in Italia, quanto successo a Bibbiano non è un’eccezione, lo sa qualsiasi psicologo giudiziario. C’è una falla nel sistema, una patologia da sanare, anticorpi che non si attivano».

Mauro Grimoldi, ex presidente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia, consulente del tribunale di Milano ed esperto nella valutazione di minori autori di reato ne ha viste tante e ha deciso di squarciare il velo delle ipocrisie. Non c’è nessuno scandalo politico, non esiste un partito di Bibbiano «e sono convinto anche che non ci sia nessun traffico, nessuna compravendita di bambini; almeno io, nella mia esperienza, non ne homai avuto il sentore. Tuttavia Bibbiano ha scoperchiato un enorme e reale problema». Grimoldi ci tiene a mettere subito in chiaro le cose, perché questa non è un’intervista scandalistica, ma solo la testimonianza di un professionista di grande autorevolezza che svela le proprie convinzioni dopo decenni di esperienza sul campo.

La storia che ci ha raccontato è inquietante: il destino di adulti accusati di reati che generano stigma e suscitano spontaneo sdegno e orrore, o quello di bambini che hannol’unica colpa di essere figli di genitori che si separano in modo conflittuale è affidato allo Stato. «Sbagliare per eccesso o difetto di tutele in questo caso produce sempre un disastro che deve essere evitato in ogni modo. La sorte di bimbi e genitori si dovrebbe giocare su fatti eindagini accurate, verificabili, eppure può capitare che qualcuno agisca sulla base di preconcetti ideologici» è la denuncia dello psicologo. Dottor Grimoldi, com’è possibile che uno psicologo indichi la necessità di togliere un bimbo a una madre e a un padre senza che ci siano inconfutabili prove di incapacità genitoriale? «È un tema di esercizio del potere, tema che mette sempre il singolo di fronte alla tentazione dell’onnipotenza. La verità che conoscono tutti gli addetti ai lavori è che esiste una nicchiaminoritaria di psicologi e psichiatri cui viene affidato un compito delicatissimo, quello di esprimersi sulla capacità a testimoniare di una presunta vittima di violenza, oppure sulle capacità genitoriali di qualcuno, e che agisce sulla base di pregiudizi. Il loro ruolo, anziché ricercare la verità, diventa quello di dimostrare una tesi, di fare giustizia. Diventano dei missionari. Quando nel lavoro si incontra questo genere di consulenti d’ufficio ci si accorge che ogni dialogo o prova a discolpa portata dagli esperti di parte è inutile. Lo psicologo del tribunale conosce le conclusioni cui deve arrivare prima di iniziare. È un gravissimo problema per le conseguenze sociali dell’operato di questa minoranza di colleghi». Questo può segnare la vita, e talora anche la morte, di cittadini comuni, che potremmo essere anche noi e i nostri figli… «Non dovrebbe succedere, e nella maggioranza dei casi non succede. Avremmo tuttigli strumenti necessari per evitarlo, anzitutto il confronto tecnico con i consulenti nominati dalle parti in causa,ma anchei test e l’osservazione della relazione dei bambini con i genitori condotta con metodi esistenti, obiettivi e verificabili. Lo psicologo dovrebbe sempre confrontare le proprie convinzioni con la possibilità che la verità possa essere diversa. È ciò che distingue un percorso scientifico dall’ideologia. Per questoèparticolarmente odiosa l’idea che il tecnico, cui è affidato un compito delicatissimo,in realtà possa talora lavorare secondo una posizione pregiudiziale, tendendo semplicementea verificare una convenzione preordinata. Ci sono, in sintesi duemodalità di approccio all’esecuzione di un compito tecnico di valutazione. Una consiste nel continuo tentativo difalsificarele proprie convinzioni,le si verifica pensando a soluzioni alternative, l’altra può essere definita confermativa di una posizione data. Si tratta di una questione etica, di tensione ideale nell’esercizio del proprio compito». Come avviene che si dimostri che una famiglia non è adeguata o che un bambino è vittima di violenze che invece non ha subito? «Inastrattomanipolare un bambino è facile. Fino a sei anni i minori sono totalmente suggestionabili, è ancoraforteinloroil pensieromagico, che gli impedisce di cogliere il nesso tra causa edeffetto.Main realtà fino a dieci anni il bambino non ha una personalità tale da contraddire l’autorità esterna». Lo si manipola promettendogli dei premi? «Non serve, basta suggerirgli le risposte, chiedergli “è vero che è successa quella cosa?”, per sentirsi confermare ciò che ci si aspetta. Ma in realtà è sufficiente che il bambino intuisca che ci si aspetta da lui una frase perché la dica spontaneamente. È così che la verità psicologica deformala realtà e ne crea una parallela, sbagliata, che diventa però quella giudiziaria, e quindi, per gli effetti che produce, reale più di quella vera». In sostanza gli si riesce a far dire quel che si vuole? «Sì, se conduci le indagini in maniera suggestiva o senza adeguata preparazione sulla conduzione di audizioneaminori. Qualcosa del genere è accaduto qualche anno fa nel caso di Rignano Flaminio». Ma perché uno psicologo dovrebbe avere interesse a togliere un bambino ai genitori? «Non è una questione di interesse. Direi che quella che ho definito, e ripeto essere, una patologia del sistema deriva da due tipi di pregiudizio». Quali sono questi pregiudizi? «Ruotano quasi sempre intorno al tema, evidentemente rilevante, della violenza e dell’abuso. Ci sono i negazionisti, che quando incontrano vissuti di violenza e di vittimizzazione nel corso di vicende di separazione conflittuale, fingono indifferenza e fanno di tutto per negarla sistematicamente. Recentemente nel corso di una consulenza, un bambino per quattro volte in un’ora ha cercato invano di raccontare le violenze cui aveva assistito per molti anni, e la consulente attivamente cambiava argomento. L’ideologia chec’èalla base spessocercadi privilegiare, sempre ecomunque,lafamiglia tradizionale. Poi ci sono i cosiddettiabusologi, quelli chemiranoalla dimostrazione della colpevolezza di autori di reati di violenza e abuso. Con Bibbiano siè arrivati a sospettare la manipolazione di colloqui e test. Sono convinto non solo che in astratto possa succedere ma anche di averlo visto accadere e di averlo segnalato». Questi psicologi alla Bibbiano agiscono come santoni? «Direi che si comportano più comemissionari ciechi. Pensano di dover dimostrare una verità, e alla fine la trovano anche dove non c’è». Diciamola tutta: gli psicologi in giudizio possono arrivare a creare una realtà che non esiste? «L’errore qui ha cause spessomultiple e conseguenze gravi, su adulti e minori: stravolge le loro vite, le distruggeele ricrea, producendo effetti catastrofici. Ma questo non succede solo con i minori». Cosa intende? «Nei processi penali, per esempio, ancora oggi lo psicologo talvolta cerca connessioni tra la personalità e lo stile di vita di un individuo e la possibilità che abbia commesso il reato». Ma questo non è normale? «Non dovrebbe esserlo, è vietato dall’articolo 220 del codice di procedura penale, e perfinoi trattati di psichiatria forense segnalano questo comeun errore grave.Maancora oggi ci sono giudici che chiedono se la personalità di un soggetto è coerente con la commissione di un reato o con l’esserne vittima. E psicologi che accettano di rispondere. È una metodologia lombrosiana. Sostenere che se hai un tratto somatico inquietante sei un criminale non è molto diverso dal cercare correlazioni tra un tratto della personalità e il fatto che tu abbia commesso un reato. Le prove processuali per giustificare una condanna, come un provvedimento d’affido, devono essere oggettive, non presuntive, o probabilistiche». I giudici hanno colpe in questi affidamenti su presupposti sbagliati? «Il giudice ha una competenza giuridica e un tempo limitato a disposizione: è naturale che si avvalga di consulenti, spesso molto validi». Quindi il giudice è completamente manovrabile dagli psicologi? «No. Ilgiudice deve affidareal consulente un compito tecnico, ma ha gli strumenti per difendersi dagli psicologiideologizzati. I consulenti tecnici sono scelti dal magistrato tra esperti con una competenza molto specialistica. I nomi si conoscono. Se qualcuno raggiunge sempre le stesse conclusioni, è difficile che passi inosservato. Specie nelle realtà di provincia, come Bibbiano. Sono certo che il giudice, quando legge una relazione, èmessoin grado di capire se le argomentazioni dello psicologo sono pretestuose o nonadeguatamentemotivate, specie leggendo attentamente anche le relazioni dei consulenti di parte, che sono il primo anticorpo alle perizie basate su pregiudizi». L’esplosione del caso Bibbiano potrà in futuro sanare in qualche modo la patologia dei bimbi dati in affido con leggerezza? «Me lo auguro ma non è facile. Trovo preoccupante che un grave problema tecnico venga strumentalizzato politicamente, perché sposta il focus». In concreto cosa si può fare? «Gli assistenti sociali coinvolti in casi così delicati dovrebbero avere un carico di lavoro non eccedente quanto umanamente sopportabile, ed essere affiancati da supervisioni costanti e competenti. I giudici e i consulenti dovrebbero valorizzare il contraddittorio tecnico come momento prezioso, di verifica e di garanzia. E gli Ordini degli Psicologi, infine, hanno il compito di garantire la qualità degli interventi dei propri iscritti. È una priorità l’intervento disciplinare sui casi critici, senza timore di comminare sanzioni cheimpediscano di nuocere a coloro che espongono le famiglie a sofferenze evitabili. Però il caso Bibbiano potrebbe produrre effetti negativi anche al contrario». A cosa si riferisce? «Alla donnache siè buttata dall’ottavo piano pochi giorni fa a Milano con il bimbo di tre mesi in braccio. Non escludo che la suggestione dello scandalo di Bibbiano abbia generato un eccesso di cautele rispetto a un intervento necessario».