Raffaella De Santis
Oggi la Buchmesse chiude i battenti. Piano piano verrà sbaraccato anche il padiglione della Norvegia, il paese ospite d’onore di questa edizione. Un open space algido, decorato con grandi immagini di boschi in bianco e nero. Tutto candido come se nevicasse. Dentro questa bolla trasparente si aggira un uomo che ha l’aria di un boscaiolo. Indossa un panama e un giaccone impermeabile verde, ha folti baffi candidi e un’aria sorniona. Lo scrittore Gert Nygardshaug è in Norvegia un bestsellerista abbonato alle top ten, una specie di Camilleri del Nord. L’uomo dal cognome impronunciabile non è uno scrittore delle nuove leve (è nato nel 1946) ma ha dalla sua che in tempi insospettabili – quando temi come il cambiamento climatico e la deforestazione non erano al centro dell’attenzione letteraria – ha scritto romanzi a sfondo ambientalista. Il più noto s’intitola Mengele Zoo, un thriller uscito nel 1989 che sta vivendo una nuova stagione d’oro dopo che una casa produttrice di Hollywood ne ha acquisiti i diritti per farne una serie di dieci puntate (sarà in libreria per le dizioni Sem a maggio). Anche se a renderlo popolare tra il grande pubblico sono stati i polizieschi con protagonista il detective Fredric Drum, un esperto crittografo in grado di decifrare la scrittura maya e altri alfabeti primitivi, appassionato delle cultura amazzonica e della natura incontaminata (in italiano potete procurarvi L’amuleto e Fredric Drum e il mistero del re di pietra, entrambi editi da Sem). Nygardshaug ha iniziato le sue lotte ecologiste tanto tempo fa, oggi è dalla parte di Greta e delle nuove generazioni. Da dove nasce il suo impegno ambientalista? «Da lontano, dagli anni all’università. Mi sono iscritto alla facoltà di filosofia nel 1968, partecipavo alle battaglie ideali di quegli anni. Facevo parte del movimento studentesco, ma il mio amore per la natura ha radici antiche. Mio padre era un contadino, vivevamo in una piccola fattoria nel sud della Norvegia. Sono rimasto lì fino a quando ho compiuto diciotto anni. Il mio contatto con la natura è istintivo, ce l’ho scritto nel sangue». La laurea in filosofia non ha contribuito? «In realtà sono una persona che ha bisogno di sperimentare cose pratiche, fare qualcosa di attivo. Dopo la laurea per un periodo ho insegnato all’università ma non faceva per me. Ho iniziato allora a lavorare per una comunità di recupero di tossicodipendenti, poi ho mollato e mi sono messo a fare il falegname. Ma sono i viaggi ad avermi insegnato di più, soprattutto quelli nella foresta amazzonica». Quando ci è andato per la prima volta? «Trent’anni fa e ho potuto sperimentare di persona il male della deforestazione. Ho vissuto per tre mesi insieme agli indios, ho sofferto insieme a loro. Da quel primo contatto è nato il mio romanzo Mengele Zoo. Molti miei libri sono ambientati nel futuro ma parlano di minacce attuali. Guardi quello che sta facendo il presidente del Brasile Bolsonaro. Il suo attacco alle foreste è folle. E noi che facciamo? Niente, stiamo zitti. Il salmone che mangiamo è alimentato con la soia brasiliana quindi ci conviene non intervenire». Perché scelse di andare a vivere nella foresta brasiliana? «Era stato ucciso Chico Mendes, ambientalista che lottava contro il disboscamento della sua terra. Fui mandato come reporter a intervistare la vedova di Chico, ma non ci riuscii, non era più lì. Visto però che avevo un biglietto aereo aperto, decisi di rimanere. Mi fermai per tre mesi, vivendo nei villaggi indios dell’Amazzonia, in una zona compresa tra la Colombia, il Perù e il Brasile». Ci è poi tornato spesso? «Tante volte. Quattro anni fa mi hanno perfino proposto di fare la guida turistica. Sono andato prima in esplorazione e ho visto che ormai era tutto distrutto. Mi sono depresso. Ricordo che mi sono messo a piangere». Come passa oggi le sue giornate, a parte scrivere? «Ho una capanna nel Nord della Norvegia, isolata da tutto. Guardi. (Prende il telefonino e mostra le foto di una casetta di legno immersa nel verde). In una c’è il figlio che ha in mano un pesce appena pescato. La casa è vicino a un lago. Aveva pescato una trota salmonata». Questo è il lato pacificante della natura. Nel suo thriller però affronta il tema dell’eco-terrorismo. Come evitare che l’amore per la natura si radicalizzi? «Il protagonista di Mengele Zoo rimane orfano all’età di dieci anni, il padre e la madre sono stati uccisi dai colossi alimentari che sono lì per sfruttare la foresta». Quel bambino poi diventerà un terrorista. «Il compito di uno scrittore non è giudicare. Ho cercato di entrare nella sua testa, guardare il mondo con i suoi occhi. A volte sono le ingiustizie a creare i terroristi».