Rita Fatiguso
La guerra commerciale sinoamericana si è intensificata, innescando effetti globali a catena. Li Junhua, nuovo ambasciatore della Repubblica popolare cinese in Italia, vanta un’importante carriera diplomatica in organismi internazionali, inclusa l’Onu, e una spiccata sensibilità ai temi dell’economia globale. Temi di grande attualità che ha accettato di affrontare in questa intervista al Sole 24 Ore. Ambasciatore Li, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato aumenti tariffari per circa 550 miliardi di dollari sulle esportazioni cinesi negli Usa, la Cina ha imposto aumenti tariffari corrispondenti. Come si può interrompere questa catena? La posizione della Cina è sempre stata chiara e limpida: ci opponiamo alla parte statunitense che incentiva la guerra commerciale, ma siamo pronti a batterci e a salvaguardare risolutamente i nostri diritti e interessi legittimi. L’escalation non fa bene alla Cina, neanche agli Stati Uniti, e non soddisfa gli interessi del resto del mondo, inclusa l’Italia. Secondo un’analisi di Morgan Stanley, se gli Usa aumentassero i dazi al 25% sulle esportazioni cinesi il tasso di crescita globale andrebbe sotto il 2,5%. Inoltre il rapporto del Fondo monetario internazionale ha sottolineato che se la guerra commerciale tra le due potenze verrà ulteriormente acuita, questo potrebbe togliere uno 0,5% all’economia mondiale: circa 455 miliardi evaporeranno. La Cina non vuole che accada una cosa del genere, quindi insiste sempre nel negoziare e risolvere le divergenze nel rispetto reciproco, dimostrando grande sincerità e pazienza. Ma gli sforzi della Cina da soli non bastano, gli Stati Uniti devono anche venirci incontro. Se la guerra commerciale continua, questo avrà un grave impatto sull’economia cinese? La guerra commerciale ha peggiorato l’ambiente economico e commerciale globale e quindi non puo’ non esercitare un impatto sull’economia cinese. Ma non siamo pessimisti: l’economia cinese sta transitando da una crescita ad alta velocità a uno sviluppo di alta qualità, processo che porterà a un nuovo slancio. L’economia cinese vanta una micro-fondazione dinamica, un’ampia flessibilità e noi abbiamo strumenti macro-politici sufficienti. Dunque siamo fiduciosi e in grado di garantire una buona prospettiva di sviluppo. Quando una porta si chiude, un’altra si apre. Abbiamo ancora molti altri partner commerciali con cui lavoreremo insieme per realizzare vantaggi reciproci e favorire un’ampia cooperazione. Quale potrebbe essere il punto più critico nel tentativo di risolvere la guerra commerciale? Penso che la cosa più importante sia quello di “rispettare la promessa”. Le persone di buon senso vedono che la parte americana si contraddice ripetutamente. Nel maggio 2018 i due Paesi hanno diffuso un comunicato congiunto che prevedeva di «non fare la guerra commerciale», che è stato poi contraddetto dagli Stati Uniti nello stesso mese. Nel maggio scorso, la parte americana ha demolito il consenso raggiunto dai due capi di Stato durante il G20 in Argentina, ovvero «fermare reciprocamente l’aumento dei dazi». In agosto, la parte americana ha nuovamente smentito l’accordo dei due leader raggiunto a Osaka, cioè che gli Stati Uniti non imporranno nuovi dazi sui prodotti cinesi. La parte americana ha anche negato deliberatamente i fatti. Recentemente ha accusato la Cina di non aver acquistato prodotti agricoli americani. Tuttavia, dopo Osaka la Cina ha acquistato 2,27 milioni di tonnellate di soia statunitensi da fine giugno a fine luglio. «Fare onore alla propria firma» è fondamentale nei negoziati. Spero che nella prossima fase la parte americana possa farlo. Di recente il tasso di cambio del renminbi sul dollaro ha superato quota 7 per la prima volta dal 2008; gli Usa Uniti hanno accusato la Cina di manipolare la valuta, è così? L’accusa degli Usa non ha senso. Il rapporto del Fondo monetario internazionale svela che l’eccedenza delle partite correnti della Cina nel 2018 è stata pari solo allo 0,4% del Pil e che dovrebbe rimanere allo 0,5% nel 2019. È difficile quindi incolpare la Cina anche secondo la soglia del 3% stabilita dagli Usa per classificare un Paese come “manipolatore di valuta”. In effetti, il mercato ha una “mano invisibile”. Gli economisti di Ubs hanno rivelato in un rapporto che se gli Usa imponessero dazi sui prodotti cinesi per 300 miliardi, il tasso di cambio del renminbi rispetto al dollaro calerebbe a seconda del mercato. Lanciare la guerra commerciale e incolpare la Cina non è altro che una falsa controaccusa. Intanto Trump ha chiesto alle società statunitensi di ritirarsi dalla Cina e ha vietato loro di investire in Cina. Cina e Stati Uniti sono importanti partner commerciali e di investimento. La profonda integrazione degli interessi ha formato un modello tale che se qualcuno vuole forzare la divisione delle due economie, il risultato danneggerà inevitabilmente tutti e due e avrà un impatto negativo sulla catena di approvvigionamento e su quella industriale globale, mettendo a repentaglio la crescita economica mondiale. Il mondo industriale americano ha espresso opposizione alle osservazioni del presidente Usa. Secondo il rapporto dell’indagine del Business Council USA-China, il 97% delle società statunitensi in Cina è redditizio e l’87% delle società statunitensi in Cina non sceglierà di ritirarsi dalla Cina. Il supermercato americano Costco ha appena aperto a Shanghai, accolto molto bene dai consumatori cinesi. Continuiamo a dare il benvenuto alle aziende americane e straniere che investono e operano in Cina e miglioreremo l’ambiente di business. Chi non è interessato all’esplorazione del mercato e allo sviluppo di lungo termine non sceglierà la strada dello sganciamento. Il mese scorso, il dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha incluso altre 46 filiali Huawei nella lista delle aziende tecnologiche off limits per gli Usa, Huawei Italia e Huawei Research Center di Milano inclusi. Come si spiega questa mossa? La decisione Usa ha intenzioni chiare come la luce del sole. Ma voglio ribadire che le cooperazioni commerciali tra le imprese dei due Paesi sono vantaggiose per entrambe le parti. Durante l’incontro dei due presidenti a Osaka, la parte americana ha promesso di dare via libera alla fornitura americana a Huawei. Quando e come adempiere questa promessa riflette la propria credibilità. Speriamo che gli Stati Uniti possano essere coerenti nel fermare la repressione e le sanzioni irrazionali contro aziende cinesi come Huawei trattandole in modo equo, giusto e non discriminatorio. Quale ruolo per l’Italia nella guerra commerciale sino-americana? La guerra commerciale non avrà un vincitore. L’Fmi stima che due anni di conflitto tra Usa e Cina possano costare 80 miliardi di euro di crescita minore all’Europa e di 5 miliardi all’Italia. Secondo l’ultimo rapporto del Centro studi Confindustria, l’economia italiana è ancora debole e i rischi esterni come la guerra commerciale possono rallentare la crescita. Il premier Giuseppe Conte ha anche espresso in diverse occasioni l’augurio della fine, al più presto, della guerra commerciale. L’Italia è un’economia importante del mondo e sostiene il libero scambio come la Cina. Mi auguro che i due Paesi rafforzino ulteriormente le comunicazioni e si oppongano congiuntamente al protezionismo e al bullismo economico, per promuovere un sano sviluppo dell’economia mondiale. Ovviamente, siamo ben disposti a collaborare con il nuovo governo italiano per promuovere la cooperazione in vari settori ed avvantaggiare i nostri due popoli.