Roberto Esposito
Non lasciamoci sottomettere dalla civiltà delle macchine.
«Se ogni strumento riuscisse a compiere la sua funzione o dietro un comando o prevedendolo in anticipo, i padroni non avrebbero bisogno di schiavi». Scrivendo queste celebri parole, per giustificare la necessità della schiavitù, Aristotele non immaginava certo che ciò sarebbe davvero accaduto. Con conseguenze difficili da decifrare. L’ultimo libro di Remo Bodei, Dominio e sottomissione. Schiavi, animali, macchine, intelligenza artificiale (il Mulino), ricostruisce in maniera magistrale questo evento a tutti gli effetti epocale, esaminandone momenti decisivi e problemi aperti. L’avvento di macchine sempre più complesse da un lato ha liberato dal bisogno di schiavi, dall’altro rischia di produrre un nuovo effetto di padronanza, sostituendo l’intelligenza umana con quella, artificiale, dei dispositivi e degli algoritmi. Cosicché, parafrasando il Vangelo di Giovanni, si può ben dire che il Verbo, dopo essersi fatto carne, si è fatto macchina. Ma cosa accade alla vita umana quando lo spirito comincia a soffiare sul non vivente? Attraverso un racconto, insieme rigoroso e avvincente, Bodei risponde a questa domanda senza cedere né al trionfalismo dei tecnofili né al vittimismo dei tecnofobi. Schiavitù antica e moderna – nel 2018 il Global Slavery Index registra che ci sono ancora più di 40 milioni di schiavi nel mondo –, mutazione tecnologica della guerra, rapporto tra uomini e animali, significato della dignità umana, modificazione del lavoro e del tempo libero sono solo alcuni dei temi squadernati nel libro. Essi non si succedono linearmente, ma si articolano in “cristalli di storicità” – è il titolo del volume collettaneo sull’opera di Bodei in uscita da Rosenberg & Sellier a cura di Emilio Carlo Corriero e Federico Vercellone – commisti di fatti e idee, storia e pensiero. Cristalli volutamente opachi, percorsi da ibridazioni, sfaldamenti, antinomie che l’autore ci restituisce in tutta la loro tensione. La figura che si delinea è quella, ambivalente, del pharmakon – insieme medicina e veleno, risorsa e rischio. A partire dall’assoluta specificità dell’esperienza umana. Gli uomini sono gli unici animali che non si limitano a uccidere i loro simili, ma li asserviscono. I nemici cui è risparmiata la vita diventano oggetto di dominio incondizionato dei vincitori. Per millenni i padroni hanno approfittato delle schiave per godimento, ma anche per generare altri schiavi. Dagli antichi imperi alla conquista spagnola dell’America, alla tratta dei neri, la schiavitù è stato il motore inconfessabile della civilizzazione. Il numero delle sue vittime è infinito, prima che l’idea di dignità umana si facesse largo, tra mille contraddizioni e arretramenti. Poi gli uomini hanno cominciato a costruire macchine, automi, destinati a sostituire le braccia degli schiavi. Usate inizialmente per destare meraviglia – come un’astuzia, un trucco (è il significato del termine mechane in greco) capace di ingannare la natura –, le macchine sono diventate strumenti per risparmiare energia animale e umana. Più tardi iniziano a incorporare “pensieri ciechi” (Leibniz), rappresentazioni incoscienti, liberando la mente dell’uomo a prestazioni superiori. Da questa trasformazione nasce la civiltà industriale, che rende poco a poco inutile la schiavitù. Ma oggi assistiamo a un passaggio ulteriore e più problematico. Le macchine, divenute esse stesse intelligenti, non si limitano ad agevolare, ma tendono a sostituire e determinare le scelte umane, spingendo ragione, volontà e immaginazione fuori di noi. Le implicazioni antropologiche, politiche, etiche di tale trasformazione sono immense. La possibilità di manipolazione che nasce dalla raccolta di un’enorme quantità di informazione (i big data), è uno dei fenomeni più inquietanti del nostro tempo. Superato solo dalla possibilità di creare e selezionare artificialmente la vita umana. Al colmo della civiltà, si affaccia l’incubo di un’incipiente decivilizzazione – deperimento delle capacità razionali, ottundimento del giudizio, asservimento a poteri occulti. Muta il rapporto tra storia e natura, tecnica e vita, spirito e materia. Solo adeguando il salto tecnologico a standard accettabili di libertà e dignità umana, il processo di civilizzazione non sarà drammaticamente interrotto.