Roberto Petrini

Vigilia carica di attese per il battesimo del fuoco del nuovo ministro dell’Economia Roberto Gualtieri che domani debutta a Helsinki per l’Ecofin. Ieri Gualtieri ha sentito per telefono il presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno e nei prossimi due giorni avrà un fitto programma di incontri bilaterali con il collega francese Le Maire e con la coppia uscente dei commissari Moscovici-Dombrovskis. Al vertice, il ministro italiano porterà le prime indicazioni su una manovra difficile da scrivere. Tra sterilizzazione Iva, altre spese e la solenne promessa di un taglio del cuneo fiscale per i lavoratori, le risorse scarseggiano. L’unico documento è quello lasciato dal predecessore Giovanni Tria: prevede 6 miliardi di tagli alle spese e 6 miliardi di minori sgravi fiscali. Interventi assai complessi sul piano sociale e del consenso. La cosiddetta “spending review” non dà mai più di 1-2 miliardi all’anno; se si vuole andare oltre si deve incidere sulla sanità e sulle spese correnti. Ma già i Cinque stelle, e anche il Pd, dicono che non se ne parla neppure. L’intervento, che varrebbe circa un miliardo, sui cosiddetti sussidi dannosi per l’ambiente, battaglia della grillina Laura Castelli (viceministro all’Economia uscente e non si sa se riconfermata) sponsorizzata da un grosso calibro come Enrico Giovannini, si scontra con gli interessi di petrolieri, armatori e la nervosa lobby dei Tir. Tutto ciò se Roma – grazie al nuovo clima, alle capacità di Gualtieri che in sede europea è di casa e a quelle del neocommissario Ue Gentiloni – riuscirà a negoziare uno 0,7% di Pil di flessibilità, entro le regole attuali, pari a 12,6 miliardi. Il che consentirebbe di far salire il rapporto deficit/Pil del prossimo anno dal tendenziale fissato dopo l’assestamento di bilancio del luglio scorso all’1,6 per cento fino al livello del 2,3 per cento. Anche in questo caso, comunque, resterebbero da trovare più di 20-22 miliardi. Per rimpolpare i risparmi si conta su tre voci: spesa per interessi, reddito di cittadinanza e Quota 100. È vero che i risparmi già stanno nei conti del prossimo anno ma tutte e tre le poste potrebbero dare qualche miliardo in più. La posizione del governo sembra quella di non toccare Quota 100 anche se i dati diffusi ieri dalla Ragioneria dello Stato indicano che il costo della misura voluta dai leghisti nei prossimi 18 anni sarà di 63 miliardi e che la spesa pensionistica sul Pil, dopo la frenata del biennio 2017-2018, nel 2022 tornerà a salire a quota 15,9% del Pil, in crescita di 0,6 punti. Non c’è la ancora la quadra al ministero anche sulla scelta di chi guiderà la “sala macchine”. In alto mare la designazione del capo di gabinetto: dopo la rinuncia di Roberto Garofoli, che era stato con Padoan, si oscilla tra la conferma di Luigi Carbone, che ha lavorato accanto a Tria, e altri consiglieri di Stato, tra i quali Oberdan Forlenza, Paolo Aquilanti (che fu con la Boschi) e Rosanna De Nictolis. Qualche schiarita invece negli ambiti che Gualtieri ha più vicini: la scelta del capo della segreteria – che prenderà il posto di Renata Pavlov, che seguiva da vicino i rapporti internazionali – dovrebbe cadere su Ignazio Vacca, responsabile delle Risorse umane a Poste spa e figlio del più noto Beppe, protagonista insieme a Reichlin e Biagio De Giovanni della celebre “ecole barisienne”, composta da intellettuali del Pci degli Anni Sessanta. Riempita anche la casella del capo della segreteria tecnica: sarà Federico Giammusso, a fianco di Padoan nel continuo braccio di ferro con Bruxelles. Per il resto anche le caselle dei viceministri sono ancora vuote: per il Pd è confermato Antonio Misiani, responsabile per l’economia della segreteria, mentre la M5S Laura Castelli ancora soffre la concorrenza del collega di partito Stefano Buffagni, uomo delle nomine della squadra pentastellata.