Roberto Saviano

La tecnologia non è né buona né cattiva ma neanche neutrale: questa è la prima legge della tecnologia di Melvin Kranzberg. In questa frase c’è già tutto: la potenza dei motori di ricerca e dei social network è sempre lì a suggerirci che non prendono posizione, che non sono responsabili di quello che si scrive e possono solo dirigere il traffico. La prima grande bugia è considerare i motori di ricerca, le piattaforme di chat o i social network, luoghi neutrali. Organizzare i profitti, verso che direzione orientare i propri algoritmi, sono scelte precise, economiche e politiche, l’algoritmo non è neutrale, non è buono né cattivo. Quando decide di premiare la quantità indipendentemente dalla qualità, questa è una scelta profondamente politica perché va a impattare con quanto dice Roger McNamee: «Quando gli utenti sono arrabbiati, consumano e condividono più contenuti. Se rimangono calmi e imparziali hanno relativamente poco valore per Facebook che fa di tutto per attivare il cervello rettile». McNamee, che fu uno dei primi investitori in Facebook – e ne è oggi pericolosamente spaventato per il mondo che ha creato – descrive la dinamica della rabbia come capitale primo dei social network: se non sei arrabbiato non stai tutto il tempo attaccato al telefono, se aggredisci, senti con la pancia, rispondi nell’immediato, allora sei utile e aiuti a rendere virale il contenuto. Quello che i social network fanno ho provato a compararlo al mercato delle auto.

Perché più dell’ottanta per cento delle auto sul mercato italiano ha motori in grado di arrivare (e superare) i duecento chilometri orari? In nessuna strada sei autorizzato a tale velocità. Eppure puoi comprare un’auto che corre oltre i limiti, puoi farlo sapendo che rischierai, oltre che di ammazzare e ammazzarti, il ritiro della patente. I social network fanno qualcosa di simile ma senza limiti. Autorizzano a spammare ogni sorta di contenuto, di insulto, di bugia, di manipolazione, violano sistematicamente la privacy raccogliendo ogni sorta di informazione su di te ma non solo ti autorizzano a farlo: ti garantiscono (e si garantiscono) impunità. Al massimo in qualche raro caso banneranno qualche insulto, e ci sarà qualche episodico processo su qualche violazione gravissima avvenuta all’interno dei loro spazi. Ma per il resto ogni secondo lasceranno che si condividano palesi bugie, propaganda di ogni tipo, attacchi personali, porcherie di ogni genere. Non solo produci motori che vanno oltre i limiti consentiti, ma dai l’impunità a correre il più possibile. Ovviamente non è solo questo il web, non sono solo questo i social network anzi, la loro ragione d’essere si fonda sulla diffusione del sapere, la connessione degli esseri umani, la creazione di nuove grammatiche emozionali. Questo in linea di principio ancora sopravvive in residuali spazi perché la trasformazione è ormai completamente avvenuta, come scrive Franco Berardi, “Bifo”: «Innumerevoli tempeste di merda sommandosi hanno trasformato l’infosfera globale in uno tsunami di merda che ha disattivato l’universalismo della ragione, ridotto la sensibilità e distrutto i fondamenti del comportamento etico. Il risentimento identitario ha sostituito la solidarietà sociale, e la cultura dell’appartenenza ha sostituito la ragione universale». Esprimere i propri pensieri con un tono corretto ed educato viene percepito come inautentico, non utilizzare un registro sarcastico ti degrada immediatamente all’ambiguità: cosa nascondi se provi a convincere e non demolire, a ragionare e non vincere? Questo ha creato un riflesso automatico per cui nello spazio dei social il sentire comune crede solo a chi palesa il suo interesse chiaramente, a chi si sente chiaramente che difende se stesso, la sua parte, i suoi soldi, il suo successo, la sua razza. Insomma, sé e basta. Sé e quelli come sé, o in nome di quelli come sé. Siamo disposti a credere non solo esclusivamente a ciò che è governato da un interesse personale, ma peggio, che sia autentico e disinteressato l’odio e ambiguo e segretamente mossa da oscuri profitti la ricerca di empatia, di giustizia, la possibilità d’esser buoni. Una persona che è abitata dalle sue contraddizioni, dai suoi errori, che per vivere lavora o vuole migliorare se stesso ma che oltre che guadagnare per sé e la sua famiglia prova a migliorare la società in cui vive, che prova a credere che il diritto alla felicità sia diritto dell’umanità, non solo è derisa e non creduta ma per sostenere questi suoi principi è sistematicamente sottoposta a una prova di stress, indagine e diffidenza estrema. Qualsiasi suo errore umano e contraddizione servirà a delegittimare la sua voglia di mutare in meglio il mondo come se gli fosse fatta tana. Ti abbiamo beccato! Al contrario se appartieni alla categoria degli insultatori, di coloro che si palesano autenticamente come avversari di qualsiasi moto solidale, ti è permessa ogni sorta di errore, ogni compromissione è tollerata. Insomma il bene sarebbe concesso nell’infosfera soltanto a esseri metafisici che non ricercano il loro benessere e che non errano. In una parola il bene è impossibile: persegui solo il tuo profitto e difendi la tua zolla, sentiti simile ai tuoi prossimi, leggi solo ciò che ti conferma il tuo sentire. Fine. Di questo odio si nutrono i social network, questo pensiero è alimentato dai filtri dei motori di ricerca che fingono di non esserne parte ma sono organizzatori di ciò che viene versato nell’oceano in cui poi su richiesta vanno a rassettare e ordinare informazioni su richiesta. Come ricorda il formatore Andrew Lewis, «se non state pagando qualcosa non siete un cliente: siete il prodotto che stanno vendendo». Il testo che pubblichiamo è una parte dell’intervento che sabato sera Roberto Saviano ha pronunciato sul palco di OnLife, il primo evento di Repubblica organizzato a Milano e dedicato alla società digitale. Il video integrale su Repubblica.it