Rosalba Castelletti
Il primo segnale che le cose non stessero andando secondo i piani del Cremlino si è avuto quando, a chiusura dei seggi, non sono arrivati gli exit poll ufficiali. Prima delle elezioni locali di domenica, precedute da un’estate di proteste e repressione, Russia Unita controllava 40 seggi su 45 nella Duma di Mosca, organo di pochi poteri, ma di alta carica simbolica. A spoglio ultimato, con un’affluenza del 21,77%, poco più alta rispetto al 2014, il partito un tempo guidato da Vladimir Putin e oggi dal premier Dmitrij Medvedev li ha visti precipitare a 25. Merito del “Voto intelligente”, la strategia promossa da Aleksej Navalnyj e dai suoi alleati dopo che la Commissione elettorale aveva respinto tutte le candidature indipendenti eccetto una: votare per il nome che avesse più probabilità di battere il politico filo-regime, seppure ciò potesse significare votare per la cosiddetta “opposizione sistemica”, compiacente con il Cremlino.
Il Partito comunista si è così ritrovato con 13 deputati contro i 5 della passata legislatura; Jabloko, unico partito liberale ammesso, ha visto eleggere i suoi 4 candidati; il partito “sistemico” di centrosinistra Russia Giusta entrerà per la prima volta in-Parlamento con tre deputati. Mascherare i propri candidati facendoli correre come indipendenti o allestire mercatini e giochi ai seggi non è bastato a scongiurare la sconfitta di “pezzi da novanta” del partito filo- Cremlino come il segretario moscovita Andrej Metelskij che sedeva nella Duma locale dal 2001 o la vicerettrice della Scuola superiore di economia Valerja Kasamara.
Certo, nel resto del Paese, dove gli elettori erano chiamati a rinnovare 16 governatori e i deputati di 13 parlamenti regionali, Russia Unita ha celebrato la vittoria al primo turno di tutti i suoi candidati ai governatorati, evitando l’umiliazione di un ballottaggio subita un anno fa. E nelle regioni, solo una sconfitta a Khabarovsk, nell’Estremo oriente, dove il Partito democratico liberale (Ldpr) ha ottenuto 34 seggi su 35. Ma quasi tutte le elezioni sono state contrassegnate da assenza di libera competizione e irregolarità. A San Pietroburgo il controverso governatore ad interim Aleksandr Beglov è stato eletto con il 65% da un quarto degli elettori registrati dopo che il suo rivale, il regista Vladimir Bortko, è stato costretto ad abbandonare la corsa a una settimana dal voto. Russia Unita resta «la più grande forza politica », ha commentato Medvedev. Ed è vero. Ma ha ragione anche Navalnyj quando parla di «trionfo del Voto intelligente». È riuscito a trasformare un’insignificante elezione cittadina in un referendum su Russia Unita che, secondo l’istituto di sondaggi indipendente Levada Tsentr, in agosto aveva il 28% di consensi contro il 39 del 2017. Dopo un’estate di proteste, fermi e condanne fino a 5 anni di carcere, quasi la metà dei moscoviti ha votato per i candidati alternativi di Navalnyj piuttosto che sostenere gli uomini del Cremlino. Un segnale da tenere in considerazione in vista delle parlamentari federali del 2021 e del dopo-Putin che nel 2024 vedrà scadere il suo quarto e – ufficialmente – ultimo mandato.