Sabato ventisette luglio

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Carabiniere ucciso. Carabiniere ucciso con otto coltellate. Un giovane americano: sono stato io. I turisti incastrati dalle telecamere: si segue la pista di un furto per acquistare la cocaina (Stampa p.2). La politica frettolosa di Fiorenza Sarzanini. Appare evidente che gli esponenti politici hanno perso un’altra occasione. La dinamica dell’omicidio è ancora poco chiara, ma il dibattito che si è scatenato ha alimentato una «caccia al nero» senza fondamento. Ministri e parlamentari utilizzano parole come «bastardi», si augurano che «i colpevoli marciscano in galera», invocano «pene esemplari» addirittura quando non è ancora noto che le verifiche di investigatori e magistrati sono concentrate su più persone e tra loro ci sono due americani. La cronaca, soprattutto quella giudiziaria, dimostra ogni giorno che l’accertamento della verità ha bisogno di tempo, soprattutto di cautela (Corriere p.24). “Bestie straniere” e “lavori forzati”. Propaganda sovranista senza freni. I politici sparano subito le loro sentenze. Salvini inventa pene non previste, Di Maio chiede che i responsabili siano espulsi, Meloni batte tutti: “Basta far approdare animali”. E l’onda web segue: “Colpa di Carola” (Repubblica p.5). Dagli slogan elettorali a un silenzio imbarazzante dice Marcello Sorgi Stampa (p.3). Una politica costruita quasi solo sulla comunicazione, invece di riflettere prima di parlare, ha usato molte, troppe, parole a vanvera. Verità nascoste e ghigliottina così naufraga la politica l’editoriale di Mattia Feltri in prima. Non pensino Salvini e i suoi epigoni di uscirne fischiettando: anche la loro barca comincia a fare acqua. Lo si è compreso ieri, alle parole di due rappresentanti del Cocer, sindacato dei carabinieri: «La responsabilità è dei vari governi, compreso questo, che si sono succeduti negli anni e che, per garantire diritti ai delinquenti, non hanno tutelato lo Stato e i suoi servitori. Non sono i decreti sicurezza che risolveranno mai questi problemi». E lo hanno detto poche ore dopo aver sollecitato il governo su faccende di previdenza, contratti, carriera: «E’ ora di passare dalle parole ai fatti». Se non bastasse, è poi stato il momento di Sergio De Caprio (il capitano Ultimo) che, in testa al suo sindacato, il Sim, l’ha messa giù ancora più dritta: «L’indifferenza che hanno verso i problemi e i diritti dei carabinieri è uguale all’ipocrisia che esprimono quando veniamo uccisi. Si chiama sciacallaggio». Quando si appiccano gli incendi, poi fa caldo per tutti.

Come (non) si difende una divisa. Il carabiniere ucciso a Roma, la frettolosa propaganda di Salvini (ma il caso sembra più complicato di un tweet) e i problemi reali delle forze dell’ordine che invece il ministro non affronta. Le critiche motivate dei sindacati di polizia. Il ministro minaccia cose che non esistono Salvini non è duro o politicamente scorretto, dice cose senza senso (Foglio p.1).

Conte. Il presidente del Consiglio vede la presidente della Commissione europea Von der Leyen a palazzo Chigi il 2 agosto. Dice il premier: una delega di peso così il Carroccio non potrà sfilarsi. Conte e Di Maio sperano in un commissario leghista in vista della trattativa sulla manovra. Salvini resiste per avere le mani libere nella battaglia contro l’Europa e Tria (Messaggero p.9).

Cinquestelle e sicurezza bis. Sì al mandato zero ma è flop di votanti. Passano le nuove regole volute dal leader, vota solo un iscritto su quattro (Messaggero p.8). Rischi in Senato per il decreto Sicurezza, ecco i ribelli 5 Stelle. Da Mantero a La Mura, una decina i non allineati. L’incognita di un sostegno da Fratelli d’Italia e berlusconiani (Corriere p.7).

Sbarchi. Salvini nega lo sbarco a 140 migranti salvati dalla Guardia costiera. Lo stupore dei responsabili della sala operativa. “Iniziativa concordata con il ministero dell’Interno” (Stampa p.11). “Se li prenda l’Europa”. Porti chiusi per la Gregoretti della Guardia costiera con 135 naufraghi. “Soluzione condivisa”. Ma è la strategia Macron che l’Italia ha bocciato (Repubblica p.6). Il pescatore dei soccorsi: «Erano alla deriva. In mare non puoi voltarti dall’altra parte» (Corriere p.6). Salvini blocca pure la Guardia Costiera. Ma lo sbarco si farà. La nave si allontana da Agrigento: a Catania c’è il pm Zuccaro che chiese di archiviare il ministro (Fatto p.15). Libia, i corpi degli annegati spinti a riva dalla corrente. Poi restano al sole in strada. Dopo il naufragio di giovedì. I sopravvissuti: a nuoto per 7 ore (Corriere p.7).

Siri scrive alla Stampa: “Non ho mai agito per conto di Paolo Arata. Volevo solo aiutare gli impresari dell’eolico”. Per l’emendamento non ho mai ricevuto o accettato offerte né dazioni di denaro: mai l’avrei fatto. Mi sono impegno in modo legittimo per aiutare i piccoli imprenditori del mini-eolico. Non ho idea di cosa passasse per la testa di Paola Arata o quali fossero le sue intenzioni. Nicastri non l’ho mai conosciuto se non attraverso le carte dell’inchiesta che mi riguarda. Nuova tegola sul leghista: indagini su due prestiti sospetti da oltre 1 milione di euro. Indaga anche San Marino (Stampa p.8).

Voto si. Voto no. Polito. Ogni volta che i sondaggi danno in crescita Salvini, c’è anche un altro partito che cresce: il TTL, Tutto Tranne Lui. È il paradosso della politica italiana, una legge non scritta che si ripete uguale a se stessa, di epoca in epoca. C’è stato il TTB (Tutto Tranne Berlusconi) e il TTR (Tutto Tranne Renzi). Ora è la volta di Salvini. Lo scrive Antonio Polito nell’editoriale del Corriere. L’arma più letale di cui un TTL possa disporre è il referendum: il gioco del tutti contro uno è il terreno ideale per unire le forze, come apprese a proprie spese Renzi che se lo autoinflisse.

Voto si. Voto no. Verderami. Nessuno cerca le elezioni. Le occasioni (evitate) in Aula e gli effetti delle inchieste. I leghisti premono per le urne ma il leader frena (Corriere p.9). Da destra a sinistra, l’opposizione al governo è solo una finzione scrive Francesco Verderami. Da sinistra a destra, si domandano perché Salvini non abbia preso il treno che portava al voto, ma nessuno dice in pubblico ciò che tutti ammettono in privato, e cioè che la crisi potrebbero provocarla loro, sfruttando le tecniche parlamentari. Ma come sostiene Casini «il Pd dice di volere le elezioni ma 9 parlamentari su 10 non le vogliono. Forza Italia dice di volere le elezioni, ma 10 parlamentari su 10 non le vogliono. Ora manca solo che venga ridotto il numero dei parlamentari e anche i leghisti tiferanno Conte».

Voto si. Voto no. Palmerini. Sul taglio dei deputati la battaglia anti-elezioni. Chi avrebbe il coraggio di schierarsi contro il taglio di 345 onorevoli? Si chiede Lina Palmerini sul Sole (p.3). Non la Lega che ha appoggiato la riforma. Quindi questo diventerebbe un argomento politico nelle mani di Luigi Di Maio ma sarebbe anche un ostacolo nella scelta di sciogliere le Camere davanti a un voto definitivo del Parlamento su una riforma costituzionale che cambia la conformazione dei collegi e impatta sulla legge elettorale. Per queste ragioni, nonostante i calcoli grillini, il “Vietnam” non è finito.

 

Voto si. Voto no. Senaldi. Mattarella fortemente deciso a tergiversare. Votare è un’illusione. Il capo dello Stato spegne gli ardori elettorali della Lega e di altri partiti. Prima di sciogliere le Camere cercherà a tutti i costi una nuova maggioranza in Parlamento, che purtroppo c’è (Libero p.3)

 

Tav. Lettera a Bruxelles. Da settembre le gare Alta velocità. Sì ufficiale del governo, fatta salva «l’autonomia delle Camere». Non c’è la firma di Toninelli. Salvini: con il M5s non siamo in sintonia (Sole p.4). Il no alla Gronda salva Toninelli. Il leader M5S sul ministro: come faccio a chiedergli le dimissioni, con Beppe che lo difende? Così Di Maio si arrende a Grillo. Per Salvini la bretella genovese va fatta “Come la Tav” (Stampa p.7).

Cinque stelle. Solo un iscritto su 6 dice sì a Di Maio. Tra i grillini si apre la corsa al dopo. Passano le nuove regole ma votano solo in 25mila e sul “mandato zero” c’è il 32 per cento di no. La leadership non è più blindata. La partita autonoma di Conte e le mosse di Fico e Di Battista (Repubblica p.13).

Russiagate 1. Ecco l’effetto Salvini: la Russia non è più una priorità degli 007. Perché l’intelligence non si è mossa dopo le prime notizie sul Metropol e Savoini? Perché nessuno gliel’ha chiesto scrive Stefano Feltri. Il generale Carta (Aise) si è limitato a dire che i dettagli del caso non erano credibili (Fatto p.3).

Russiagate 2. Moscopoli, l’incontro tra il clan Savoini e i russi in un hotel di Roma. Il 25 settembre, tre settimane prima del Metropol, il leghista, Meranda e Vannucci incontrarono al De Russie l’ideologo sovranista Dugin. Nella capitale italiana l’incontro preparatorio per l’affare milionario sul petrolio (Repubblica p.10).

Russiagate 3. I segreti di Savoini, i pm sbloccano il cellulare schermato. Nel mirino le telefonate e i documenti del presidente di Lombardia-Russia. Tensione Lega-M5S sulla commissione d’inchiesta sui finanziamenti ai partiti (Messaggero p.12).

Russiagate 4. Le pistole fumanti contro Salvini sono a salve. I giornaloni snobbano le notizie sui processi al Giglio magico, mentre inseguono scoop traballanti contro il Carroccio. Il Rubligate fa acqua, come le accuse di corruzione contro Siri: ifamosi30.000 non sarebbero mai stati promessi direttamente al senatore scrive Maurizio Belpietro (Verità p.7).

E invece il Pd? Il segretario dem Zingaretti compatta il partito in direzione: “M5S in crisi il Pd deve provare a spaccare i gialloverdi”. E lancia la “squadra d’emergenza”. “Il governo può cadere in qualsiasi momento”. C’è il via alla svolta digitale (Repubblica p.12). Il sindaco di Milano insiste: “Via libera a un patto con i 5S dopo il voto e senza Di Maio”. Tanti sì a Sala: “L’alleanza non può essere un tabù”. Calenda: “Sono un disastro, come si fa a governare con loro?” Il no dei renziani (Repubblica p.12). Pd-5S, il prezzo di un’alleanza il commento di Stefano Folli. Irrealistico andare avanti da soli. Ma si può trattare con Casaleggio? (Repubblica p.35).

Formigoni. “Formigoni potrebbe dire dove sono i soldi” (ma non gli conviene)

Potrebbe certamente consentire l’esecuzione delle cospicue confische per il recupero di denaro e beni. È l’assoluto protagonista dei patti corruttivi e del programma criminoso messo in atto dal sodalizio. L’ex “Celeste” ai domiciliari perché la collaborazione è “impossibile”. Ma il parere della pm Pedio delinea un quadro diverso (Fatto p.8).

Conti pubblici. Flat tax, Tria frena. La Lega: o noi o lui. Mentre il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia dicono che il taglio delle tasse avverrà in modo graduale e nel rispetto dei vincoli di bilancio, Lega e 5 Stelle continuano a litigare sulla prossima manovra. Per il Carroccio la priorità resta uno «choc fiscale forte», come dice Matteo Salvini, e quindi la flat tax del 15%. Per il Movimento, invece, prima di tutto viene il salario minimo per legge e anche la riforma fiscale ruota intorno a questa necessità (Corriere p.8). Salvini vuole muovere 12 miliardi: si alzi il deficit, il 2% non basta (Corriere p.9). Castelli “Per ridurre il peso del fisco basta passare a tre soli scaglioni”. Il nostro obiettivo è semplificare. Per questo vogliamo che Imu e Tasi si paghino nella dichiarazione (Repubblica p.8). Salario minimo, tassa piatta e cuneo fiscale. Le proposte gialloverdi in un vicolo cieco. Gli alleati hanno idee agli antipodi. E il deficit strutturale va corretto (Giornale p.7). Fisco e 80 euro, la guerra dei dossier (Sole p.3). Il nuovo Di Maio responsabile: sta con Tria sul deficit e le tasse. ll ministro entra in rotta di collisione con la Lega Salvini: “Serve uno choc fiscale: o io o lui”. Il capo grillino: “Piena fiducia”. (Fatto p.4). I “tassapiattisti” dal 15% per tutti al caos fiscale. Il primo fu Berlusconi, ora tocca ai leghisti. Ma per il 70% dei contribuenti più svantaggi (Repubblica p.9).

Tutti i rischi dei tagli alle spese fiscali l’editoriale del Sole di Carlo Cottarelli e Giampaolo Galli.

Una delle varie proposte di riforma del sistema fiscale avanzate dai partiti di governo prevede l’introduzione di un’aliquota al 15% per i redditi familiari fino a 55.000 euro (la cosiddetta Flat tax), finanziata almeno in parte con tagli delle spese fiscali. Le spese fiscali relative alla sola Irpef valgono in tutto 133 miliardi. Quasi tutte le spese fiscali in senso ampio, complessivamente 94 miliardi, possono essere ritoccate, ma difficilmente possono essere eliminate perché assicurano il rispetto di principi costituzionali o di trattati internazionali. Per la maggior parte delle spese fiscali in senso stretto (complessivamente 39 miliardi) non esistono invece vincoli giuridici che ne impedirebbero l’eliminazione, ma per intervenire occorrerebbe ovviamente scegliere a quali categorie di contribuenti togliere i benefici fiscali. L’80% dei contribuenti – 40 milioni di persone, quasi tutti lavoratori dipendenti o pensionati – dichiara redditi inferiori a 28mila euro. Questi cittadini rappresentano il 37% del reddito dichiarato e sono beneficiari del 63% delle spese fiscali. Il risultato è che attualmente l’aliquota media effettiva per i redditi bassi sta ben sotto il 15%: 5,2% per le dichiarazioni di redditi inferiori ai 15mila euro e 14,4% per le dichiarazioni tra i 15 e i 28mila. Il grosso delle spese fiscali agevola dunque fasce deboli della popolazione (Sole p.3).

L’allarme di S&P. “L’Italia rischia la fine della Grecia”. L’agenzia Standard & Poor’s: la crescita è troppo bassa, attenti alla crisi di fiducia (Stampa p.6). L’allarme, l’ennesimo, arriva dall’agenzia americana Standard and Poor’s che ieri ha diffuso un report sui rating dei paesi dell’Eurozona ricordando che l’Italia è l’unico stato sovrano con outlook (prospettive) «negativo». Questo a causa di un debito pubblico monstre, di una crescita sempre debole (dal 2010 la nostra economia è cresciuta in termini reali solo dello 0,6% contro il 10,6% dell’intera area Euro) e dell’incapacità dei decisori politici di affrontare questi nodi.

Tim e Vodafone. Scatta l’alleanza del 5G. Le torri riunite in Inwit, ciascuno dei due gruppi avrà il 37,5%. Sinergie per 800 milioni. Sarà la più grande società di infrastrutture telefoniche in Italia: nel 2020 dividendo straordinario (Stampa p.19). Nel risiko delle 22 mila torri (Corriere p.32). Gubitosi cerca la cura mentre il gruppo perde quota nel fisso (Repubblica p.26).

Un’altra Tav. Una campagna ossessiva e antiscientifica sta prendendo di mira l’infrastruttura del futuro: il 5G. Ma i raggi solari fanno più male. I servizi di Russia Today per diffondere in occidente la campagna antiscientifica e provocare pericolosi allarmismi. La delibera dell’AgCom sui 120 comuni dove far partire la sperimentazione: “Siamo stati scelti come cavie?”. Naturalmente l’onda della paura dell’onda è stata cavalcata dalla politica. Si tratta di un fenomeno perfetto per il M5s (Foglio p.2).

Dazi. Italia. Usa, affondo dell’Italia: «Per noi conto da 4,5 miliardi». La lista in discussione. Presentato l’impatto delle possibili tariffe anti Ue sul caso Airbus: solo la Francia colpita di più, il governo chiede un riequilibrio. Vino e alimentare sotto tiro. Le sanzioni alla Russia dimezzano l’export italiano. L’ambasciatore Terracciano: in linea con la Ue anche se siamo tra i più penalizzati. «Pronti al pressing con la nuova Commissione». Intervista al sottosegretario Michele Geraci: Servono clausole di riequilibrio sui trattati di libero scambio (Sole p.2).

Dazi. Usa. Digital tax, Trump attacca e minaccia ritorsioni alla Francia per la tassa digitale imposta alle grandi aziende Usa dell’hi-tech. Assicura vendetta: «Annunceremo a breve una sostanziale azione reciproca contro la stupidità di Macron. L’ho sempre detto che i vini americani sono meglio dei francesi» (Sole p.2). “Apple produca in Usa e non avrà dazi”. Trump, è tornato a mettere sotto pressione il colossso tecnologico Apple affinché produca negli Stati Uniti. «Ad Apple non verranno date esenzioni sui dazi per componenti dei Mac Pro realizzate in Cina. Le produca in Usa e non avrà dazi» (Stampa p.18).

Tassi Usa Fed e Pil. Per il Pil americano c’è un colpo di freno Trump sfida la Fed Il presidente: “La Banca centrale è un peso al collo” L’incognita sono i futuri tagli dei tassi di interesse (Stampa p.18).

Bio-On risale in Borsa. I vertici comprano per sostenere il titolo. Prime ammissioni: dietro l’azienda delle Hawaii Virdhi c’erano l’ad e il presidente italiani. Le azioni fanno +60% in un giorno. Bio-on è nata nel 2007 ed è attiva nel settore delle bioplastiche. Ha annunciato progetti e partnership in vari campi, dalla lotta ai tumori alle creme solari all’arredamento, grazie alla tecnologia di produzione del PHA, una plastica biologica. Ma molte cose non tornano nei suoi bilanci: l’impianto più volte annunciato di produzione di PHA a Bologna è costato 40,7 milioni invece di 15,7 e non è chiaro se e cosa abbia mai prodotto. Il grosso delle vendite di tecnologie basate sul PHA è a società partecipate dalla stessa Bio-On che in molti casi neppure versano il dovuto. Il fatturato si impenna (nel 2018 è arrivato 51 milioni di euro) ma i soldi non entrano davvero e il flusso di cassa è negativo per 21 milioni di euro, su 59 milioni di crediti ben 33 sono verso joint ventures con dentro Bio-On. Il fondo Quintessential, che ha scommesso sul crollo del titolo, la accusa di essere “la nuova Parlamalat” (Fatto p.11). Il titolo rimbalza, inchiesta per aggiotaggio. Dopo un drammatico crollo di oltre il 70% in due giorni da 1 miliardo a 260 milioni circa di capitalizzazione, ieri ha chiuso a 24 euro, +60% (Corriere p.33).

Fincantieri-Stx. Il presidente Bono: Antitrust europeo troppo lento. «Lascio senza l’ok del governo a Naval». La corruzione non si risolve solo con le leggi: vanno responsabilizzate le persone. Chi sbaglia, ne risponde. Ci sono troppe leggi ingessanti. Bruxelles è stata coinvolta dalle antitrust francese e tedesca. Una strategia protezionista di Parigi e ostruzionista della Germania? «No, solo un atteggiamento ‘pilatesco’. Se l’antitrust tedesca avesse dato via libera, avrebbe urtato un operatore tedesco nostro concorrente; se lo avesse negato, sarebbe stato accusato di protezionismo. E seifrancesi avessero detto no, avrebbero urtato il loro governo; se avessero detto sì, sarebbero parsi poco indipendenti. Ma alla fine ci fanno perdere un sacco di tempo». Lei ha detto che andrebbe abolita l’antitrust Ue… «È un paradosso per dire che, così com’è oggi, andrebbe abolita. È nata per regolare la concorrenza in Europa, ma è anacronistica. Airbus oggi non si sarebbe potuta fare…» L’intervista di Federico Fubini sul Corriere (p.33).

Eni. Il calo del gas frena gli utili ma le scoperte producono cassa. La cessione di quote dei nuovi giacimenti permette di contenere gli investimenti ed entrare in mercati dove la società non era presente (Repubblica p.27).

Cina, Trump bastona i colossi del web poi li difende da Parigi

NEW YORK — Tasse, tweet e fantasia. Fra un missile di Kim e le minacce di impeachment dei democratici, un Donald Trump più scatenato che mai ieri ha attaccato prima i colossi di Silicon Valley che fanno affari con la Cina. Poi il presidente francese Emmauel Macron, definito addirittura «stupido» per la decisione di colpire con la sua digital tax quegli stessi giganti dell’hi tech appena fustigati. In America è ancora prima mattina quando il randello presidenziale si scaglia contro il motore di ricerca Google, da giorni al centro di certe voci su presunte collusioni col Dragone, pure già ampiamente smentite. «Potrebbero esserci o non esserci timori di sicurezza nazionale nei rapporti fra Google e la Cina. Mi auguro di no, ma se il problema esiste, lo scopriremo e reagiremo» minaccia comunque The Donald. Alludendo alle accuse complottiste lanciate dal finanziere Peter Thiel, un suo fedelissimo, secondo cui Mountain View, “infiltrato da spie”, non solo starebbe lavorando segretamente col governo di Pechino ma anche con l’esercito cinese. E pazienza se quelle affermazioni sono state già smorzate dal ministro del Tesoro Steven Mnuchin, che qualche girono lo aveva detto chiaro: «Non risultano preoccupazioni o indagini rispetto ai rapporti fra Google e Cina». Ma Trump evidentemente non si fida, fissato com’è con l’idea di essere al centro di una cospirazione.

Non è d’altronde ancora mezzogiorno, quando il presidente scaglia i suoi 140 caratteri pure contro la mela di Cupertino. L’altro colosso è accusato di aver spostato la produzione di componenti del nuovo Mac Pro dal Texas a Shanghai, per abbassare i costi di spedizione: e di aver poi chiesto l’esenzione dei dazi. «Non vi darò nessun sollievo» tuona il Twittatore-in-Capo. «Se Apple non vuole pagare torni a produrre quei componenti in America». E pazienza se nemmeno quella sfuriata gli basta.

Alle tre del pomeriggio è contro la Digital Tax francese che se la prende. La tassa approvata l’11 Luglio che prevede un tributo del 3 per cento dalle aziende digitali che hanno un fatturato globale di oltre 750 milioni di euro e uno di 25 milioni generato in Francia. L’imposta colpirà oltre trenta colossi tecnologici e dovrebbe portare nelle casse dello Stato francese, secondo le intenzioni di Macron, 400 milioni di euro quest’anno e 650 nel 2020. Peserà dunque pesantemente sulle maggiori aziende tecnologiche americane come Facebook e Amazon, di cui pure Trump non è amico. E su quelle stesse Apple e Google minacciate ore prima. Ma al presidente rode che quei soldi vadano versati altrove. E ancora una volta promette fuoco, fiamme e ritorsioni: «Se qualcuno deve tassare le industrie americane, quelli siamo noi. Contro la stupidità del presidente Macron annunceremo a breve una fortissima azione reciproca» scrive. Pronto a spargere non sangue ma vino, fa capire che è proprio le pregiate bottiglie francesi che vuole andare a colpire. «L’ho sempre detto che i nostri alcolici sono migliori». Mai quanto un cocktail a base di tasse, tweet e fantasia.

Da Parigi arriva poco dopo la risposta del ministro francese delle Finanze, Bruno Le Maire. La Francia, precisa, «attuerà le sue decisioni nazionali» sulla tassazione digitale, in applicazione di un accordo internazionale. «La tassazione universale delle attività digitali – ha spiegato Le Maire – è una sfida che riguarda tutti noi. Speriamo di raggiungere un accordo su questo argomento nel quadro del G7 e dell’Ocse». Poco più tardi un inesausto Trump fa sapere che ha parlato con Macron e che tra i due «c’è un buon rapporto». Nel frattempo, comunque, la Francia va avanti.

Repubblica p.27

Iran 1. Pressing Usa sulla Lega. Gli alleati vogliono un gesto chiaro: più impegno nello stretto di Hormuz. L’incontro tra l’ambasciatore americano Lewis Eisenberg e Luigi Di Maio a villa Taverna ha agitato le acque in casa Lega. Matteo Salvini teme che il suo partner di governo, approfittando del caso Moscopoli, possa tentare di imporsi come interlocutore privilegiato degli Usa. Ma è un ruolo che il leader leghista rivendica per sé: «Sono stato l’ultimo esponente del governo ad andare a Washington e l’ambasciatore Eisenberg lo sento spesso», dice in un’intervista a Radio24. «Vi posso assicurare – prosegue – che per gli Stati Uniti il problema non è la Russia, ma l’Iran e la Cina. Ed è quel che preoccupa anche me» (Stampa p.9).

Iran 2. Intervista all’ambasciatore italiano a Teheran Perrone: “L’Iran si sente assediato. Difficile far ripartire i negoziati”. C’è il rischio che azioni e reazioni nel Golfo e a Hormuz finiscano fuori controllo. Bisogna lavorare per appianare la crisi (Repubblica p.15).

Hong Kong. Hong Kong, la protesta in aeroporto. Deputato dà la mano ai picchiatori. I leader filocinesi «esibiscono» i contatti con le triadi mafiose. Pechino ha preallertato l’esercito (Corriere p.1).2

Scenari. Guerre fredde nei cieli e nei mari. Da Tokyo a Seul, i fronti dell’Asia. I missili di Kim Jong-un, i jet sudcoreani contro un aereo russo, le petroliere vietnamite insidiate dalle navi cinesi e il Giappone che boicotta le industrie rivali. L’area ribolle di vecchie e nuove instabilità e ognuno corre ad armarsi (Repubblica p.15). L’inesorabile ascesa del Dragone, che allunga le sue zampe tutto attorno. E il disimpegno degli Stati Uniti, per anni poliziotto del Pacifico, ora in ritirata, a cui Donald Trump aggiunge l’imprevedibilità della sua politica-show. Il risultato di questo vuoto sono numerosi fronti di tensione a geometria variabile. La cui costante è una corsa ad armarsi: nel 2018 i Paesi asiatici hanno speso 392 miliardi di dollari, una crescita del 52% rispetto a dieci anni prima.

Siria. Cento morti in dieci giorni L’Onu: “Mondo indifferente”. Bachelet denuncia i raid aerei russi e delle forze di Assad contro i civili a Idlib (Repubblica p.24).

Usa e Unione Europea. Conte: Usa-Ue asse portante ma Mosca decisiva nelle crisi. Apertura alla Cina avanti nel rispetto degli standard e dei principi europei. Fra le priorità del governo il Mediterraneo, area sia di crisi che di opportunità (Sole p.5).

Riforma. Lo stop leghista a Bonafede. Nella maggioranza è braccio di ferro sulla prescrizione e sulla separazione delle carriere dei magistrati. La bozza della riforma della giustizia del Guardasigilli Bonafede è passata dalle mani del ministro Bongiorno agli esperti della Lega e infine a Salvini. Giudizio unanime: «E’ una riformicchia. Così non si accelerano i processi. Piuttosto è meglio non far nulla». Il partito di via Bellerio non demorde e ha già pronta una sua proposta. Ma M5s e Lega giocano una partita a scacchi, con Salvini che aspetta che sia il responsabile di via Arenula a mostrare le carte e a portare il suo testo in Cdm. Per bocciarlo. L’accusa è che Bonafede vuole una legge delega al governo, che vuole carta bianca per presentare un pacchetto completo che comprende sia la riforma dell’ordinamento penale che quello civile. E così ieri il vicepremier leghista ha stuzzicato l’alleato di governo: «La bozza non mi piace perché non taglia i tempi dei processi, non separa le carriere, non introduce il merito» (Messaggero p.9).