Sabino Cassese
Le democrazie si sanno difendere. È almeno prematuro dichiararne la fine. In Italia Salvini chiedeva lo scioglimento del Parlamento, nuove elezioni e pieni poteri. Nel Regno Unito Johnson aveva sospeso per un periodo di cinque-otto settimane l’attività parlamentare. Negli Stati Uniti Trump intendeva manipolare le prossime elezioni presidenziali con l’aiuto di un governo straniero. Nel braccio di ferro che ha visto contrapposti, in modi diversi, quelli che Antonio Polito ha chiamato su questo giornale il 26 settembre scorso «aspiranti autocrati» e parlamenti, hanno per ora avuto la meglio questi ultimi.
In Italia, le forze politiche hanno subito trovato un accordo che ha consentito la continuazione dell’attività del Parlamento. Nel Regno Unito la Corte Suprema ha fatto muro e stabilito che nessuna forza esterna possa interferire con l’attività parlamentare. Negli Stati Uniti la Camera dei rappresentanti ha deciso di avviare la procedura di incriminazione del Presidente prevista per i casi di alto tradimento, corruzione o altri crimini gravi. Gli aspiranti Perón l’hanno presa male. Salvini agita le piazze e ricorre alla filibusta parlamentare. Johnson ha chiamato i parlamentari codardi e sabotatori. Trump ha affermato che i suoi accusatori dicono il falso. Queste tre vicende nazionali sono l’illustrazione di una tensione che corre, in tutta la storia delle democrazie, tra i tre poli, popolo, leader e parlamenti. Questi ultimi nacqueroesi rafforzarono proprio per rompere la concentrazione dei poteri in una mano sola, quella di un Luigi XIV prima, dei diversi governanti cesaristi e bonapartisti poi, fino ai dittatori del secolo scorso. Perrompere la concentrazione, prima si separarono i tre poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario), poi si stabilì che chi detta le norme deve avere una legittimazione popolare mediante l’approvazione, con il voto, dei candidati proposti dai partiti e dalle altre forze politiche. Ma quella tensione siripresenta periodicamente, in forme diverse, da ultimo, con maggiore frequenza, con l’appello al popolo di leader che intendono valersi dell’appoggio popolare per contrastare i parlamenti. La bontà dei sistemi democratici sta proprio nella capacità dei parlamenti di resistere a questi tentativi, come è accaduto o sta accadendo nei tre casi indicati. La rivincita dei parlamenti nei tre casi non deve far pensare che la partita sia chiusa. Infatti, la globalizzazione dà inesorabilmente un sovrappiù di forza a chi ha raggiunto il vertice, aumentando la concentrazione dei poteri nelle sue mani. Ai vari «summit», ormai quasi settimanali, possono partecipare solo i capi di governo, nelle cui mani si concentrano conoscenze, una legittimazione nuova (che vien dall’alto, invece che dal basso), un prestigio che altri protagonisti nazionali non hanno. In secondo luogo, i parlamenti, la forza sulla quale riposa principalmente la democrazia, si sono fatti sfuggire di mano la funzione principale, quella normativa, quasi ovunque passata ai governi. Inoltre, esercitano pocoemale quella di controllo dell’esecutivo, rimangono esclusivi titolari dei soli compiti di costruire e distruggere i governi e di fungere da camera di compensazione. Sono quindi organi alla ricerca di una collocazione, specialmente in Italia, dove il tatticismo prevale sulla strategia, non si fanno programmi, «la politica oscura le politiche», come scrissero anni fa alcuni acuti sociologi. Da ultimo, nelle tensioni al vertice delle democrazie si sono inserite ora le corti costituzionali. Queste hanno in alcuni casi rubato la scena al Parlamento, ma senza fare la parte del leone. Nel Regno Unito, la Corte Suprema ha ristabilitoiruoli, limitando quello dell’esecutivoafavore del Parlamento. Anche in Italia, con la recente decisione sull’aiuto al suicidio, la Corte non ha rubato al Parlamento il suo ruolo, sia perché aveva lasciato ad esso un anno per decidereeha chiuso la partita quando ha potuto constatare di aver una sorta di implicita delega a provvedere da parte delle assemblee legislative, sia perché ha scelto la strada di appoggiare la sua sentenza sui criteri dettati dal Parlamento con la legge sul fine vita del 2017. In conclusione, le democrazie godono di buona salute, nonostanteimolti profeti di sventure che ne raccontano la fine. Ma esse sono continuamente percorse dalla tensione tra concentrazione e diffusione del potere, hanno bisogno di ribilanciarsi periodicamente. Le vittorie dei parlamenti non sono mai definitive.