Simonetta Fiori

Pons “Gramsci ci insegna ancora tanto Felici che il ministro sia uno di noi”

Un simbolo della sinistra novecentesca nel cuore dell’economia. La nomina di Roberto Gualtieri alla guida del ministero di via XX settembre ha anche l’imprevedibile effetto di riportare al centro della scena la Fondazione Gramsci, considerata dai meno avvertiti come un residuo di archeologia politica. Qui sono cresciute generazioni di intellettuali comunisti, incluso il neo titolare dell’Economia. E a rimarcare un’appartenenza – non solo culturale ma anche nutrita da legami di amicizia – è la nomina a capo della sua segreteria personale di Ignazio Vacca, figlio di Giuseppe Vacca, che dell’Istituto Gramsci è da venticinque anni guida indiscussa. Come leggere queste inatteso matrimonio tra la famiglia gramsciana e il mondo economico? «Potrei rispondere che quando a New York dico di essere il presidente della Fondazione Gramsci vedo accendersi le lampadine», sorride Silvio Pons, professore di storia contemporanea alla Normale di Pisa. Professor Pons, avete festeggiato la nomina? «Sì, Roberto continua ad avere un ruolo rilevante nella Fondazione. E siamo stati felici che venisse riconosciuto il suo valore intellettuale oltre che politico». Uno storico al ministero dell’Economia è una novità, vista la scarsa considerazione che si ha per la storia e per chi la coltiva. «La storia è sempre più ignorata dalla politica. Ed è uno dei motivi della decadenza della vita pubblica. Il suo incarico può essere letto come la possibilità di recuperare un mondo marginalizzato». Nell’immaginario collettivo l’Istituto Gramsci evoca un simbolo del Novecento. «Chi frequenta il Gramsci sa che non è un museo che custodisce la memoria del passato, ma un luogo dove si fanno convegni internazionali e attività di ricerca». Ma come si concilia la matrice gramsciana con la Bce? «Intanto l’ispirazione gramsciana è proprio nel rapporto tra cultura e politica che Gualtieri incarna: è la necessità di creare un osmosi tra l’azione politica e l’elaborazione intellettuale legata alla tradizione socialista e comunista». Qui le cose si complicano. «Sì, ma fermiamoci a un punto fondamentale: l’ideale europeista. Fare oggi di Gramsci il propugnatore dell’europeismo sarebbe assurdo, ma la tradizione comunista italiana del dopoguerra – innervata dal pensiero di Gramsci – ha aderito all’ideale europeo. Ora la domanda è: l’Ue riflette questo ideale? No. Ed è qui che deve intervenire una politica economica di sinistra: per un’Europa più sociale e più democratica». Perché dice che il nome di Gramsci fa accendere le lampadine? «È un autore globale. Viene studiato ovunque, nelle discipline più diverse. La sua teoria dell’egemonia circola in tutte le scuole politiche del XXI secolo. La fortuna di Gramsci è cominciata con la fine del comunismo: impossibile oggi chiuderlo in soffitta».