Simonetta Fiori

«Chi salva una vita salva il mondo intero», dice la sopravvissuta Liliana Segre. Gliel’hanno insegnato da piccola, l’ha appreso dal Talmud. E chissà quante volte questa massima gli è esplosa nella coscienza, da bambina perseguitata dai nazifascisti, da adolescente rinchiusa ad Auschwitz, da adulta che assiste alle ingiustizie del mondo. E poi da vecchia, in un’Italia «che non premia ma punisce chi salva vite», in un rovesciamento che annulla la tradizione dei Giusti. Solo un romanziere avrebbe potuto immaginare una coincidenza più simbolica: l’ottantanovesimo compleanno di una superstite del lager e il voto di fiducia al nuovo governo, nella speranza di chiudere per sempre con la stagione del razzismo e dell’odio.
Austera ed elegante nella sua veste chiara, la senatrice a vita Liliana Segre ha pronunciato il suo discorso di liberazione. È come un segnale di “pericolo scampato”, quasi a rimarcare “l’imbarbarimento” e “l’abisso” a cui rischiavamo di assuefarci. E allora è venuto il momento di chiudere con una classe politica «che tratta il razzismo con indulgenza, in modo empatico», che accetta la discriminazione come costume normale del nostro vivere civile, che «investe nell’odio, incendiando gli animi di chi vive con rabbia e disperazione il disagio provocato dalla crisi». È ora di chiudere «con il dileggio sistematico dell’avversario », con la strumentale esibizione di croci e rosari. Le sue parole cadono gravi, rese più forti da una storia personale che è anche tragedia del Novecento. E certo non può fermarla il borbottio leghista quando condanna l’utilizzo di simboli religiosi, «in un farsesco ma pericoloso revival del Gott mit uns». Si interrompe un momento, poi con la serenità di chi non può essere smentita: «A me fa questo effetto. Forse solo a me in questa aula».
Le sta seduta accanto Emma Bonino, che acconsente convinta. E forse non è un caso che il monito morale venga da una generazione di donne che ha attraversato le turbolenze del Secolo Breve. Bisogna costruire un nuovo clima pubblico, invoca la senatrice Segre. E per fare questo è necessaria la consapevolezza dei rischi corsi «sull’orlo dell’abisso»: non può essere solo un calcolo di convenienza politica. Al nuovo governo chiede «discontinuità» e quindi di ripristinare un terreno di valori condivisi, ispirato dalla Costituzione e dalla Resistenza. E servono anche iniziative concrete come «l’istituzione di una commissione di indirizzo e controllo sui fenomeno dell’hate speech, della violenza, dell’intolleranza, del razzismo, dell’antisemitismo»: proposta presentata già da tempo. «È un argomento che purtroppo conosco: ho vissuto sulla mia pelle come dalle parole dell’odio sia facile passare ai fatti».
Ma chi conosce la storia del XIX secolo, le persecuzioni, il lager, lo sterminio? E qui interviene la sua antica battaglia per lo studio della storia, perché «la disciplina sta sparendo non solo dagli esami di maturità ma dalla coscienza stessa delle persone. E senza memoria storica l’umanità è condannata a disumanizzarsi». E allora bisogna difenderla, dice rivolgendosi ai nuovi governanti: «Meditate, ma poi anche agite». Così come va bene inserire a scuola l’ora di educazione civica, ma è ancora più importante «che l’educazione civica giunga a tutti i cittadini con l’esempio che diamo noi». Il valore dell’esempio, anche questa un’eredità dimenticata.
L’applauso è scrosciante, battono le mani il premier Conte e la presidente del Senato, l’applaudono i tanti italiani a cui ha saputo dar voce, che vivono insieme a lei il sollievo di una quiete ritrovata. Il suo discorso se l’è preparato con cura, inclusa quell’ultima citazione di John Donne con cui prende commiato. «Non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona per te». Chissà se verrà ascoltata.
FABIO FRUSTACI/ANSA
Liliana Segre, 89 anni, durante il suo discorso al Senato