Sofia Ventura

Con il movimento dei Fridays for Future sta accadendo qualcosa di difficilmente definibile. Un movimento di ragazzi in età scolare che attorno al Globo periodicamente manifestano per chiedere ai leader mondiali di salvare il pianeta dove tra qualche decennio la loro vita potrebbe essere in pericolo. Anche questo terzo venerdì globale si è trasformato in una impressionante mobilitazione, anche in Italia. Forse, anzi, per l’Italia si è trattato della mobilitazione meglio riuscita. E attraverso il prisma italiano si è ad esempio colto come questo movimento esprima un mutamento nei costumi e nei comportamenti di una generazione di giovanissimi che potrebbe già di per sé rappresentare una spinta verso un modo diverso di concepire il rapporto dell’uomo con l’ambiente e i modelli di sviluppo. Le borracce che hanno sostituito le bottigliette di plastica sono ormai il simbolo di una nuova consapevolezza che vorrebbe tradursi anche in stili di vita conseguenti. Stili di vita che non si esauriscono in sé, ma che rappresentano forse un modo di introiettare l’urgenza di nuovi paradigmi, che incorporino le grandi decisioni a livello mondiale per affrontare il pericolo del riscaldamento globale di origine antropica e abitudini quotidiane coerenti. È forse questo che più colpisce in questo movimento mondiale: il messaggio della necessità di essere diversi per poter guardare al proprio pianeta in modo diverso. Il movimento nasce da quel piccolo grande «j’accuse» di Greta Thunberg verso i grandi decisori mondiali. Esprime un conflitto generazionale nella misura in cui le generazioni più adulte hanno sottovalutato il problema, un conflitto tra diverse sensibilità. Ma non necessariamente un conflitto tra generazioni sul terreno politico. Alle manifestazioni hanno cominciato anche ad apparire dei «grandi». E questa sembra essere, d’altro canto, la prospettiva dei giovani che si riconoscono nei Fridays for Future. Sugli atteggiamenti di Greta, sulla incoerenza e la radicalità di un messaggio che non terrebbe conto del divario tra paesi più e meno ricchi o delle conquiste per lo stesso benessere umano dello sviluppo produttivo, su una protesta alla quale non corrispondono chiare proposte, le critiche si sono sprecate e continuano a sprecarsi. Anche Emmanuel Macron si è un po’ risentito per le accuse fatte anche alla Francia di non impegnarsi abbastanza. Ma con tutti questi ditini alzati si dimentica che a certi problemi le risposte le dà la politica. Nella società globale una nuova forma di «voice» si è organizzata. Per la sua viralità, la sua originalità, anche la sua forma «pop», è stata in grado di politicizzare prepotentemente il tema della sopravvivenza del pianeta come habitat adatto alla vita umana, brandendo i risultati della scienza. Apparendo ben più ragionevole dei deliri contrari all’ambiente e alla scienza di un Bolsonaro o di un Trump. Dell’allarme lanciato da una generazione che in prima persona sta cercando un suo modo diverso di abitare il pianeta bisognerebbe parlare. Non dello sguardo di Greta o di suoi fantomatici burattinai.