Stefano Feltri

L’ eredità di Mario Draghi è una Banca centrale europea schierata con tutti i suoi bazooka, caricati e con qualche colpo che partirà già da novembre, sulla trincea che separa l’Eurozona dalla recessione. Ma l’esito della battaglia –il presidente della Bce lo chiarisce ancora una volta –, dipende dalla politica fiscale: spetta ai Paesi con margine di intervento sulla spesa pubblica, prima di tutti la Germania, decidere se il continente dovrà sprofondare in una nuova crisi. Le decisioni del Consiglio dei governatori della Bce, nella riunione a Francoforte di ieri, sono quelle attese dai mercati, ma con qualche spezia in più: per la prima volta dal 2019 la Bce taglia i tassi di interesse, che passano da -0,4 a -0,5 per cento. Aumenta la penalità per le banche che lasciano la loro liquidità sui conti della Bce invece che immetterla in circolo. Per limitare il costo che questo comporta per le banche, la Bce introduce anche un sistema di tiering, cioè di “st rati”: una parte delle riserve viene esentata dai tassi negativi. Per le banche c’è anche una nuova fase di Tltro, finanziamenti agevolati che servono a mantenere le stesse condizioni favorevoli introdotte all’inizio del mandato di Draghi, nel 2011, con le prime Tltro. Tutto questo perché – ric orda Draghi – , l ’ e con om ia dell’eurozona si regge sulle banche, a differenza di quella americana che dipende dal mercato. E quindi la Bce deve “preservare” il canale bancario di trasmissione della politica monetaria. I TASSI DI INTERESSE nega – tivi, però, creano problemi perché implicano un ribaltamento delle condizioni n o r ma l i , quando le banche devono pagare per finanziarsi presso la Bce e poi farsi remunerare dai propri clienti, imprese o famiglie. A ll ’inevitabile domanda del giornalista tedesco che chiede se la Bce stia considerando tutte le conseguenze negative delle sue politiche non convenzionali, Draghi risponde: “Ci sono banche che hanno costi completamente sproporzionati rispetto ai ricavi, sia nei confronti di altri istituti della zona euro, sia nel resto del mondo”. Traduzione: care banche tedesche, non date la colpa alla Bce dei vostri guai che dipendono d al l’incapacità di adeguare un modello di business antico all’età della tecnologia. La Bce riattiva anche l’App, il programma di acquisto di titoli più noto come Quantitative easing: 20 miliardi al mese da novembre, più gli acquisti necessari a mantenere invariato lo stock già in bilancio quando i titoli comprati negli anni scorsi arrivano a scadenza. Si continuerà “finché sarà necessario”. Su quest’u l t ima misura Draghi ammette che non c’è stata unanimità all’interno del consiglio direttivo della Bce, dove i Paesi c a p i ta n a t i dalla Germania sono contrari a un secondo round. Non è detto che tutto questo basti. Nell’ultimo trimestre la crescita della zona euro si è dimezzata, dal già risicato 0,4 a 0,2 per cento. L’inflazione resta la metà di quella che è l’obiettivo della Bce (2 per cento). Colpa anche della guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina. Il presidente Donald Trump twitta subito contro la Bce: “Stanno provando, con successo, a deprezzare l’euro contro un dollaro molto forte, danneggiando l’export americani…”. Draghi replica lapidario: “La Bce non ha come obiettivo il tasso di cambio. Punto”. LA POLITICA monetaria può fare molto, ma non tutto, per evitare una recessione che – dice Draghi – è un rischio “basso ma in aumento”. Tocca ai governi, con la politica fiscale, cioè la spesa pubblica. Nella conferenza stampa, Draghi invita tutti a studiare la parte del comunicato sul tema, che per la prima volta usa parole molto diverse dal solito: “In vista dell’i n d ebolimento del quadro economico e della permanenza dei rischi al ribasso, i governi con spazio fiscale dovrebbero agire in modo rapido ed efficace. Nei Paesi con alto debito pubblico, i governi devono perseguire politiche prudenti che creino le condizioni per il funzionamento degli stabilizzatori automatici”. L’esortazione a politiche di bilancio espansive sostituisce l’usuale richiamo alle “riforme strutturali”. È ora di spendere, ma devono essere i Paesi come la Germania a farlo, spetta a loro fermare la crisi. Il deficit in Italia, è il senso delle parole di Draghi, aumenterà quando arriverà la recessione, perché ci saranno da pagare ammortizzatori sociali e sussidi vari. Non è quindi una benedizione finanziare la lunga lista della spesa presentata dal nuovo governo Conte. IL DESTINO dell’eurozona è come al solito in mano a Berlino. I tedeschi continuano a protestare perché la politica monetaria dei tassi negativi ha ridotto i rendimenti per i loro risparmi ma, ricorda Draghi, ha anche portato “11 milioni di posti di lavoro”, la Germania ha beneficiato degli interventi di Francoforte senza fare la sua parte, prima arriveranno interventi di politica economica, prima la Bce potrà ridurre i suoi stimoli. Se l’eu ro zo na finirà in recessione e se alla lunga gli effetti collaterali della politica monetaria della Bce supereranno i benefici, è il messaggio di Draghi, la colpa sarà della Germania. Non della Bce.