Stefano Feltri
Per la prima volta da vent’anni tutti parlano di lotta all’evasione fiscale: non è che gli italiani sono diventati più onesti e i politici meno sensibili al voto degli evasori. Il problema è che bisogna trovare così tante coperture per la legge di Bilancio che, se proprio bisogna tassare qualcuno, anche i politici più riottosi si sono convinti che è meglio colpire gli evasori. Ma come? SIAMO COSÌ ARRUGGINITI in questo dibattito che alcune delle proposte che circolano son o bislacche. Per esempio quelle sul contante. Partiamo dai punti fermi: l’evasione si regge sul contante, è assai difficile aggirare il fisco se i pagamenti dei clienti e quelli ai fornitori sono fatti con bonifici e carte. Chi lo nega è in malafede e non può produrre evidenza scientifica a supporto delle sue tesi. Secondo punto fermo: si vive benissimo anche senza contante, le solite obiezioni culturali (“siamo abituati così”) o anagrafiche (“gli anziani come fanno?”) sono assurde. Da un mese vivo negli Stati Uniti e non ho mai – dico mai – pagato qualcosa con una banconota: l’unico prelievo al bancomat che ho fatto serviva ad aprire un conto corrente americano, i bonifici internazionali restano complicati. Anche il biglietto dell’autobus si paga avvicinando la carta, o con smartphone e impronta digitale: quante competenze digitali richiede appoggiare un dito su un tasto? Ridurre l’uso del contante è utile e possibile, ma circolano idee poco efficaci su come farlo a scopo anti-evasione. Sembra allettante la prospettiva di incentivare le transazioni elettroniche, con un rimbors da parte dello Stato tra il 2 il 4 per cento dell’importo. Anche il centro studi di Confindustria propone qualcosa di simile, con i rimborso sottoforma di credito di imposta. Ma le misure di lotta all’evasione dovrebbero, lo dice il nome, colpire gli evasori. Cioé far emergere gettito che ora lo Stato non riesce a incassare perché le transazioni che dovrebbero generarlo restano sommerse. L’incentivo ai pagamenti elettronici serve a questo? In una parola: no. Al commerciante o al professionista evasore basta offrire al cliente uno sconto superiore al bonus fiscale per cancellare ogni effetto dell’incen – tivo governativo: se il cliente guarda solo al beneficio immediato e non si cura della legge, preferirà sempre pagare 90 euro in nero invece che 100 regolari con la prospettiva di riceverne indietro poi 2 o 4 quando farà la dichiarazione dei redditi. In un caso paga 90, nell’altro 96 o 98. Lo Stato sosterrebbe un costo ingente – tra i 2 ei 6 miliardi il primo anno, a seconda di come si struttura il bonus – ma l’unico vero effetto sarebbe quello di premiare i contribuenti onesti che già ora, per varie ragioni, pagano con la carta. Gli onesti ringrazierebbero, ma gli evasori continuerebbero a evadere come prima. Sarebbe pure un premio iniquo, perché i più poveri spesso non hanno un conto corrente e dunque una carta e sono incapienti, non pagando tasse non saprebbero che farsene del credito di imposta (a meno di non trasformarlo in un sussidio, comunque minimo per loro viste le scarse transazioni). Altre idee lasciano presagire una enorme macchina burocratica dagli esiti incerti: una carta gestita da Poste per aver rimborsi Iva sui pagamenti elettronici. Se queste proposte servono soltanto a indorare la pillola di un aumento dell’Iva che colpirà come sempre più gli onesti che i disonesti, lo capiremo in fretta. PIÙ CHE INVESTIREmiliardi in complessi incentivi dall’i mpatto nullo o negativo, sarebbe molto più efficace costringere i negozianti ad avere il Pos: la legge c’è, ma le sanzioni per chi non permette pagamenti elettronici sono di fatto assenti. É così difficile stabilire che i taxi senza Pos funzionanti non possono circolare o devono rinunciare al pagamento della corsa da parte dei clienti che vogliono pagare con carta? É mai possibile che ci siano ancora ristoranti che esbiscono il solito foglio con scritto a penna “bancomat rotto”(che poi significa: “Sono un evasore”). Certo, con il Pos pagheranno più commissioni bancarie ai gestori dell’infra – struttura elettronica di pagamento. Ma anche il contante ha i suoi costi di gestione – cassette di sicurezza, protezioni varie, il tempo che si perde ad andare e tornare dalla banca – ma sono meno percepibili e percepiti di quelli delle carte di credito perché sono spalmati su una vasta platea: tutti i contribuenti sostengono i costi di produzione e gestione delle banconote, e tutti i clienti delle banche devono contribuire pro quota alle spese per guardie giurate, furgoni blindati e telecamere che servono a proteggere il denaro degli evasori senza Pos. Va benissimo la lotta all’evasione e la lotta al contante. Ma bisogna essere sicuri di colpire il bersaglio giusto. Sprecare i soldi incassati dai poveri contribuenti onesti e tartassati in nome della battaglia contro i ladri sarebbe l’ul – tima beffa. Da due anni i Cinque Stelle promettono di rivedere la soglia di non punibilità per i reati fiscali che è stata alzata dal governo Renzi nel 2015 così da rendere di fatto impossibile ai pm perseguire gli evasori in sede penale. Abbassarle non costa nulla alle casse dello Stato, porterebbe gettito e darebbe un segnale chiaro. Lo faranno, ora che non c’è più la Lega al governo e il Pd, almeno a parole, vuole contrastare l’evasione? Sarebbe un buon test per verificare se la convivenza giallorossa (e con Matteo Renzi) è davvero possibile.