Tommaso Ciriaco
Lasciare senza benzina la propaganda di Matteo Salvini. Decongestionare il dossier immigrazione. Modificare i decreti sicurezza, ma soltanto tra qualche mese. Nel frattempo, disapplicarli, facendo leva sui precedenti forniti dai giudici. Ecco come il governo giallo-rosso si prepara ad affrontare il nodo più delicato. Con un caso, quello della Ocean Viking, destinato a fare scuola: se la nave umanitaria, attualmente in area Sar con a bordo 50 naufraghi, dovesse decidere di fare rotta verso i porti italiani, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese non farà ricorso al potere di vietarne l’ingresso. Organizzerà invece il soccorso e gestirà con Bruxelles la redistribuzione di chi sbarca.
C’è un patto d’onore che vincola Pd e cinquestelle, in queste ore. Prevede di svuotare i decreti sicurezza, accogliendo le indicazioni di Sergio Mattarella. Il percorso l’ha tracciato Giuseppe Conte, rivolgendosi ieri alla Camera alla sua nuova maggioranza. «Rivedremo la disciplina — ha promesso — alla luce delle osservazioni critiche formulate da Mattarella. Il che significa recuperare la formulazione originaria del decreto, prima che intervenissero le integrazioni che, in sede di conversione, ne hanno compromesso l’equilibrio complessivo». Il premier boccia il testo di Salvini, insomma. Attribuisce al suo ex vicepremier le colpe di un testo già stroncato dalle sentenze della magistratura. E promette di modificarlo in base alle indicazioni del Colle. Che riguardano essenzialmente due punti: le multe abnormi comminate a chi salva naufraghi — la celebre norma anti Ong — e il rispetto degli obblighi internazionali che impongono il soccorso in mare.
Su questo terreno le due forze sono già d’accordo. Così come sull’opportunità di non mettere mano immediatamente al decreto. Per una ragione assai prosaica: non massacrare la luna di miele del nuovo governo. I sondaggi planati sulla scrivania del quartier generale del Pd, infatti, sono assai simili a quelli in mano a Luigi Di Maio. E dicono due cose, in estrema sintesi. Primo: il tema dei porti chiusi non è considerato prioritario dagli italiani. Secondo: le forze di governo sono in risalita nelle rilevazioni, mentre Salvini e le destre in discesa. Perché rovinare tutto, accendendo uno scontro che può risolversi senza troppi clamori?
Nell’accordo tra i due partner di maggioranza, però, manca un dettaglio: il “quando”. Sulla tempistica, Pd e cinquestelle non sono perfettamente allineati. Per il capo politico del Movimento, il momento migliore per intervenire è gennaio. «Non abbiamo fretta — ha spiegato ai suoi ministri — lasciamo prima smorzare le tensioni». Al Nazareno, però, si vive con qualche palpitazione in più questa scaletta. A sentire Graziano Delrio, che dei dem è capogruppo alla Camera, è importante agire. E non perdere troppo tempo: «Si prendono le osservazioni del Presidente della Repubblica e si modifica il decreto. È un impegno di questo governo ». Alla fine, comunque, sarà Conte a cercare un punto d’equilibrio. Con l’obiettivo di smontare un’emergenza che non esiste: i trend degli sbarchi sono in netto calo dai 100 mila del 2017 ai 5.728 del 2019.
Restano alcuni possibili inciampi lungo il cammino. Cosa succede ad esempio quando una nave delle ong recupera naufraghi in mare e punta verso un porto italiano? Lamorgese, come detto, non intende applicare il blocco, facendo leva su alcuni precedenti: innanzitutto la decisione del gip su Carola Rackete, che non convalidò l’arresto della capitana riconoscendo che il soccorso rappresentava l’adempimento di un dovere derivante dai trattati internazionali. E poi la sentenza del Tar del Lazio sulla Open Arms, che consentì lo sbarco per un salvataggio avvenuto in condizioni di «eccezionale gravità e urgenza». Certo, se i casi dovessero moltiplicarsi, la pressione della destra aumenterebbe. La statistica, sperano però a Palazzo Chigi, dovrebbe aiutare: l’autunno dovrebbe ridurre partenze e sbarchi.
Le modifiche ai decreti sicurezza non esauriscono naturalmente l’operazione di “raffreddamento” del dossier immigrazione. L’obiettivo di lungo periodo resta la redistribuzione obbligatoria dei migranti tra i Paesi Ue più “volenterosi”. La missione, però, è al limite dell’impossibile, visto che tutti i governi precedenti — compreso il “Conte primo” — hanno fallito: per modificare il trattato di Dublino servono anni e una volontà politica comunitaria che al momento non c’è. Il sistema volontaristico attualmente in vigore, invece, non garantisce alcun automatismo.
Conte è deciso a provarci comunque, sperando di sfruttare il sostegno europeo a un esecutivo che ha estromesso Salvini. Per questo, volerà domani a Bruxelles per chiedere una mano a Ursula von der Leyen. Per la stessa ragione, ha mobilitato il ministro degli Affari europei Enzo Amendola e il presidente dem dell’Europarlamento, David Sassoli. E ovviamente Paolo Gentiloni. Ma la verità è che la flessibilità che l’Europa concederà all’Italia per la manovra ridurrà ulteriormente i margini di trattativa sui migranti.
I leader Cinquestelle e dem d’accordo sulla modifica delle norme bandiera della Lega. Ma il Movimento vuole tempi lunghi: non prima di gennaio.