Tonia Mastrobuoni

«Mio marito è un uomo distrutto». Philippa Strache è la moglie del politico più chiacchierato d’Austria. Travolto a maggio dal video di Ibiza, in cui supplicava in maglietta scollata e atmosfera intima una presunta ereditiera russa di comprare i giornali più influenti del Paese e donare generose somme di rubli al suo partito, Heinz-Christian Strache è inciampato negli ultimi giorni in un caso giudiziario serissimo. La sua fedele guardia del corpo — «uno di famiglia», si è rammaricata l’addolorata Philippa in un’intervista a Oesterreich — ha parlato per ore e ore con i magistrati fornendo tonnellate di materiali scottanti accumulati di nascosto. I vestiti Valentino e i Rolex con cui Philippa si è fatta vedere per anni agli eventi mondani; l’appartamento a Vienna dove la coppia sovranista glamour vive con il bimbo Hendrik; persino una borsa Chanel con cui è stata pizzicata Marion, la sempre raggiante mamma di Heinz-Christian: tutto era pagato coi soldi del partito. La nuova bufera sull’ex leader dell’ultradestra ha suscitato l’indignata reazione della fratellanza fascistoide Vandalia — uno dei tanti peccati di gioventù — che lo vuole cacciare. Ma anche la Fpoe rivuole indietro i soldi dell’affitto viennese e promette di fare chiarezza nella rimborsopoli. La voragine che si è aperta sotto i piedi dell’ex enfant prodige della destra rischia però di risucchiare tutto il partito. Martedì è prevista una riunione che si annuncia storica. I vertici sperano che lui si dimetta, nella peggiore delle ipotesi lo sospenderanno. Ma tremano all’idea che Strache minacci una scissione: lui continua ad essere popolare nel Paese e nella Fpoe. Un partito, peraltro, che nonostante Ibiza continua a veleggiare intorno al 21% dei consensi e si contende il secondo posto con i socialdemocratici della Spoe. Ma con Strache, la Fpoe sperava l’anno prossimo di realizzare un altro, storico sorpasso: quello sui socialdemocratici alle Comunali nella “rossa” Vienna. Senza Strache, diventa un miraggio. Sopratutto, in vista di una “guerra nucleare” che rischia di scatenarsi dalla prossima settimana nel partito, anche una riedizione della coalizione con Sebastian Kurz diventa più difficile. Non a caso, all’ultimo comizio della Fpoe, gli animi erano divisi ieri sera sul convitato di pietra della campagna elettorale per le elezioni di domani. Sotto al palco, in prima fila, Michela Biergl sventola una bandierina austriaca. Asburgico caschetto biondo, dirndl (il costume tradizionale) con maniche a sbuffo e l’orsacchiotto-mascotte del partito che le spunta birichino dal seno, Biergl è netta: «L’errore di uno non è l’errore di tutti. È giusto che Strache lasci. Il mio uomo è Norbert Hofer». Purtroppo, nel frattempo è spuntato anche un mini-scandalo che riguarda l’attuale capo del partito, il volto gentile della destra xenofoba. Ieri Oesterreich ha pubblicato una foto che lo ritrae su un trattorino mentre sventola un cappello da cowboy: «La Fpoe gli ha pagato il recinto di casa». Che poi non era tanto un recinto, bensì una muraglia da migliaia di euro. Quando sale sul palco il primo big, Herbert Kickl, sulle note inconfondibili di Jump dei Van Halen, tutto si trasforma in un un grande amarcord. D’un lato, il discorso dell’ex ministro dell’Interno è la fotocopia delle ultime otto campagne elettorali. No ai migranti, no all’islamizzazione dell’Austria, no ai «tagliagole, agli stupratori di massa e kamikaze» e via sbadigliando. Ma il refrain del comizio del politico noto per la sua vicinanza agli ambienti di estrema destra, è una martellante anafora. Che via via somiglia a un grande grido di dolore per la cacciata dal governo. «Senza di noi — Kickl cerca di ruggire ma ne esce un rantolo — scordatevi la chiusura delle frontiere. Senza di noi niente inasprimento del diritto di asilo. Senza di noi l’islamismo continuerà a diffondersi». Insomma, mentre l’Europa sta cercando finalmente di mettersi d’accordo per una redistribuzione più equa dei migranti, Kickl avverte: «Mai saremo disponibili a questa follia europea della redistribuzione». Finalmente, alle sei e mezza, appare tra la folla festante la star del momento: Norbert Hofer, il volto principale della campagna elettorale. Ma il tic di Kickl lo ha contagiato. «Senza di noi avrebbero firmato il Patto per le migrazioni. Senza di noi non avrebbero raggiunto il pareggio di bilancio. Siamo stati il governo più popolare. Non litigavamo. E una banda di criminali ci ha fatto cadere». E dopo aver elencato le cose buone fatte dal governo, Hofer tira fuori un vecchio cavallo di battaglia. «Sapete qual è il nome da bambino più popolare a Vienna?». Ma la folla l’ha già sentita: è preparatissima. Urla «Mohammed». Hofer sorride, si bea dei boati. Ma da martedì ci sarà poco da ridere.