Tonia Mastronuoni

Dovrà esibirsi in una notevole torsione, Sebastian Kurz, per voltare le spalle all’ultradestra xenofoba ed euroscettica con cui ha governato fino a maggio e aprire le braccia ai socialdemocratici. O, come sembra più probabile in queste ore, ai Verdi. Ma se gli riuscisse questa acrobazia, la differenza si farebbe sentire soprattutto in Europa. Dove molti sperano in un secondo “caso Conte”, in una riconferma del cancelliere uscente ma con un junior partner che si scagli meno contro Bruxelles e sia più dialogante sulle grandi urgenze europee come la questione migratoria. Il verdetto degli austriaci, in ogni caso, è stato netto. Per Raimund Loew, storico ed ex corrispondente dell’Orf, «è chiaro che l’alleanza blu-turchese, dunque l’ex governo tra Fpoe e Oevp, ha perso. Un dettaglio che cambia, e di molto, lo scenario. E direi che è una buona notizia per l’Europa». L’analista viennese è convinto che «Kurz intraprenderà seri colloqui con i Verdi». I cambiamenti climatici sono stati un tema dominante della campagna elettorale austriaca. E ieri il leader dei Verdi, Werner Kogler, ha fatto capire chiaramente che il negoziato sarà tosto. Gli ambientalisti vogliono rassicurazioni da Kurz su «un cambiamento vero» rispetto all’ex governo che si era schierato più spesso sulle posizioni della Mitteleuropa ‘nera’ di Visegrad che sugli alleati storici come la Germania. Intanto a Kogler è riuscita «la più grande risurrezione dopo Lazzaro», come ha brillantemente commentato la leader dei Neos, Beate Meinl-Reisinger. I Verdi erano finiti fuori dal Parlamento, ora sono balzati al 14%. Ma il trionfo di Sebastian Kurz è innegabile. Ieri sera il leader trentatrenne dei popolari è andato in tv e ha parlato, euforico, di un risultato «inatteso» per la sua “Volkspartei”. E l’orgoglio con cui ha rivendicato il fatto di aver restituito ai popolari la fisionomia di un “partito di massa” è giustificato. Prima della presa di potere di “Kaiser Sebastian”, la Oevp era crollata a percentuali drammatiche, e la stragrande maggioranza dei commentatori aveva pronosticato anche per l’Austria un tramonto inevitabile delle due Volksparteien, dei popolari e dei socialdemocratici. E invece. Mostrando la faccia feroce sui migranti, architettando da ministro degli Esteri dell’ultima Grande coalizione il blocco dei Balcani nell’autunno del 2015, mettendo a segno il primo pareggio di bilancio in 65 anni, Kurz ha riconquistato l’elettorato conservatore. E dopo aver osato, dal 2017, una coabitazione con l’ultradestra per oltre un anno, è riuscito persino ad approfittare della sua caduta. Dopo l’Ibizagate dello scorso maggio che ha travolto il vicecancelliere di allora, Heinz-Christian Strache, e dopo la crisi di governo innescata da quello scandalo, Kurz non ha fatto che crescere nei sondaggi. Secondo Raimund Loew uno dei motivi dello straordinario successo di Kurz «è la nostalgia di un Messia che è profondamente radicata nell’elettorato austriaco, reso insicuro dai grandi cambiamenti degli ultimi decenni. In questo senso è l’erede diretto di un’altra figura carismatica che ha dominato il panorama politico per molti anni: Joerg Haider. Naturalmente Kurz non ha il background nazionalista dell’ex leader dell’ultradestra. Ma ha conquistato molta popolarità in Austria cavalcando temi che erano tipici proprio di Haider: il sentimento anti islamico, la politica severa sui migranti». Anche alla luce di ciò, la conversione di Kurz a politiche più generose sui migranti o sul Patto di stabilità si annuncia insomma lunga e tortuosa.