Ugo Magri

Più che di scissioni, Piero Fassino è esperto di fusioni perché nel 2007, da segretario dei Ds, li sciolse per dare vita al Pd insieme con la Margherita. Ora Matteo Renzi imbocca il percorso inverso e Fassino lo vive «con grande sofferenza personale». Che cosa non la convince? «Èun’operazionecheciriportaalpassato.Abbiamofondato il Pd per superare le culture del Novecento e mettere a disposizione dell’Italia un progetto politico per questo secolo.Questascissioneinvece ripropone la distinzione tra sinistra e centro che fu superata12anni fa». Non ne sentiva il bisogno? «Bastaguardareacomeèstata accolta, da un largo sentimentodidisagioediirritazione. Il popolo progressista ha imparato a proprie spese che, quando viene meno una forte unità di intenti, la prospettivadelle riforme si indebolisce. Chi spacca o divide difficilmente può essere guardato con simpatia. E qui non si è trattato certo di una separazioneconsensuale». Come la definirebbe? «Una rottura a freddo. Senza profonde ragioni. Tutte le principali scelte dell’ultimo anno sono state condivise dall’interoPd:lafermaopposizione al governo Lega-5Stelle, la lotta alla brutalità di Salvini, la nuova maggioranzaPd-5S.Qualidissensi giustificano la nascita del nuovopartito ?». E allora, quale altra spiegazione si dà? «Renzi come primo ministro ha compiuto scelte anche coraggiose, ma non ha mai fattoiconticonlesconfitte.Eoggi fonda un partito per riproporre le scelte dei suoi governi, senza tener conto che quando passi dal 40 al 18 per cento non puoi dire che è colpa del “fuoco amico”. Milioni di cittadini hanno tolto la loro fiducia al Pd non condividendone le politiche e non sentendosiascoltati». Qualcuno ci vede una strategia alla Macron, che in Francia ha rotto gli schemi. «Sì: marginalizzare il Pd, assorbireilcentroeproporsicome unica alternativa a Salvini. Però segnalo differenze non da poco: Macron non ha spaccato il suo partito. Ha vinto con il doppio turno e in un regime presidenziale, mentre il quadro istituzionale italiano è diverso. E poi scendevada leader per la primavoltanell’agone». Renzi garantisce che sosterrà il governo. Gli dà credito? «Mi auguro che sia cosí. Ma c’e un rischio oggettivo: dovendo crescere, il nuovo partito sarà costretto a conquistarsi uno spazio e una visibilità, mettendo ogni giorno in campo proposte che si distinguano. E proponendosi comel’alternativaaSalvinifinirà per offrirgli una rendita di posizione, che il leader della Lega sfrutterà per uscire dal proprioisolamento». Il Pd può mettersi al riparo da questi rischi? «Lo deve fare. Non ci faremo marginalizzare, né ci arroccheremo nei vecchi recinti. Al contrario riproporremo senza incertezze la natura di partito riformista, radicato in Europa, fortemente innovatore,apertoallasocietà,capace di riforme economiche, sociali,istituzionaliindispensabili per rimettere in moto il Paese, combattere vecchie e nuove disuguaglianze e vincerelesfidedelmondoglobale, dal climate change all’immigrazione». Cosa comporta, Fassino? «Che tutte le piattaforme politiche su cui i candidati segretari – Zingaretti, Martina e Giachetti – si sono confrontati al congresso, erano finalizzate alla lotta contro il governo giallo-verde. Lo scenario è cambiato radicalmente. Adesso siamo al governo e la sfida consiste nel rimettere in moto il Paese. Occorrerà aggiornarestrategieeobiettivi e costruire una forte e larga unità, che superi gli schieramenti congressuali. E abbiamo davanti sfide elettorali regionali importanti. Insomma:serveun“colpodireni”. Il Pd deve ritrovare l’orgoglio della sua storia e le ambizioni per cui è nato».