Ugo Magri

Tredici presidenti di un’Europa ricattata e impotente si ritrovano come tutti gli anni ad Atene. Ma questa volta, invece del solito soporifero dibattito che caratterizza il “Gruppo Arraiolos” (dall’amena località portoghese dove si riunì nel 2005), i partecipanti se le dicono e in qualche caso se le cantano in un clima definito dai diplomatici presenti come «franco e sincero». Cioè teso e polemico. C’è chi tra i capi di Stato, come lo sloveno Borut Pahor, si indigna per le velate minacce del turco Erdogan, il quale è pronto a farci sommergere da milioni di profughi se oseremo difendere i curdi, e chi invece alza le spalle. Qualcuno mette in guardia dal rischio che l’ondata migratoria si abbatta come sempre su Grecia, Malta e Italia; altri, anziché promettere una mano ai paesi di primo approdo, si preoccupano soltanto che da loro non arrivi nessuno e stop. Babele di lingue In certi momenti la discussione tra i presidenti si fa aspra. Come quando il tedesco Frank-Walter Steinmeier, un vecchio socialdemocratico dallo spirito umanitario, condanna gli egoismi degli altri “nordici” con toni quasi apocalittici: o si va avanti insieme o si soccombe, è il senso del suo appello. «Anche la Germania spesso non ha dato un buon esempio», ammette. Ma l’ungherese Yannos Ader argomenta il contrario, che l’obiettivo dev’essere quello di difendere l’Europa contro i nuovi invasori, e provoca la reazione del padrone di casa, il presidente greco Prokopis Pavlopoulos: chi pensa di erigere muri non conosce il mare, ignora cosa significhi avere delle coste, rifiuta di rendersi conto. La presidente croata Kolinda Grabar-Kitarovic se la prende con i bosniaci che non collaborano abbastanza. Vengono a galla le ruggini, i rancori balcanici mai sopiti. E in questa babele, l’Italia cosa dice? La denuncia italiana Sono anni che, ai meeting di Arraiolos, Sergio Mattarella denuncia: se non ci faremosentire sulla Siria, le conseguenze si scaricheranno sull’Europa. «Oggi è ancora più vero», prende amaramente atto il presidente italiano. Bisognerebbe darci in fretta una politica estera univoca, ma intanto a Bruxelles è slittata la nascita della nuova Commissione, se ne parlerà non prima di dicembre. Spirano venti di guerra, di qui ad allora potrebbe accadere di tutto. Ecco perché Mattarella mette fretta, sollecita «una gestione comune del fenomeno migratorio, altrimenti il continente verrà travolto». Usa proprio questo termine: travolto. Il greco Pavlopoulos lo ringrazia a nome di tutti gli altri presidenti per aver gestito nell’ultimo anno la difficile situazione italiana, mostrandosi «all’altezza di illustri predecessori come Sandro Pertini». Almeno su questo, c’è concordia e sollievo in Europa.