Valentina Conte

Togliere gli 80 euro dai lavoratori e spostarli sui figli. Ecco l’ipotesi, per certi versi rivoluzionaria, che sta tentando il governo giallo-rosso in queste ore. Il Family Act prende quota. E somiglia sempre di più alla formula: un figlio, un assegno. L’obiettivo è arrivare a una dote unica, semplice, mensile erogata senza vincoli e solo perché ci sono figli. In forma di assegno o detrazione. Che incorpori e rafforzi bonus e assegni oggi disseminati a pioggia, non sempre efficaci, con platee ristrette e quasi mai coincidenti. Ma come realizzarlo? La proposta originaria del Pd prevedeva 9 miliardi — aggiuntivi ad assegni familiari e riordino bonus — e un tetto di reddito a 100 mila euro lordi annui: 240 euro al mese per ogni under 18 e poi 80 euro fino a 26 anni, se ancora a carico. Il Forum delle Famiglie propone, da tempo, di usare anche il bonus Renzi che vale 9,5 miliardi — da sommare ad assegni, bonus e detrazioni per un totale di 30 miliardi — e non vincolare la misura a parametri economici: 250 euro a regime per ogni figlio a prescindere dal reddito, fino a 18 anni all’inizio, poi su fino a 26. Oggi a quella suggestione viene dato un peso politico inedito. L’operazione da 30 miliardi sarebbe a costo zero per lo Stato che dovrebbe riordinare tutto l’universo Famiglia. Il premier Conte la sta valutando. E sarebbe pronto a spiegarla agli italiani con le ragioni che impongono di contrastare la drammatica denatalità in atto. Messa così, chi difenderebbe gli 80 euro? Persino il suo ideatore Renzi avrebbe difficoltà a schierarsi contro le famiglie. Il Pd riuscirebbe a fare il Family Act smontando il feticcio di Renzi e sterilizzando i suoi attacchi (il viceministro all’Economia Misiani ipotizza ora che il taglio del cuneo, giudicato da Renzi un “pannicello caldo”, avvenga solo per gli incapienti). I Cinque Stelle di certo non alzerebbero le barricate, ma dovrebbero forse rivedere il reddito di cittadinanza che insiste in parte sulla stessa platea. E l’opposizione non avrebbe grandi argomenti, visto che la Lega in primis era pronta a cancellare il bonus Renzi per fare la flat tax. Ecco dunque il piano. Redistribuire il beneficio da 80 euro — che oggi va ai 10 milioni di lavoratori dipendenti tra gli 8 mila e i 26 mila euro di reddito — alle famiglie e ai loro 10 milioni di bambini e ragazzi sotto i 18 anni. Questo almeno il target iniziale. Per poi salire fino ai 26 anni. Con un contraccolpo non da poco. Di sicuro un terzo di chi oggi incassa il bonus Renzi — 2,8 milioni di persone — non potrebbe più contare su quell’entrata extra in busta paga: 960 euro all’anno fino ai 24 mila euro di reddito, con un décalage importante fino ai 26 mila euro. Questi lavoratori non hanno figli. E se il criterio diventasse “un assegno, un figlio” perderebbero il beneficio. Ma chi ci guadagnerebbe invece? Sulla carta (vedi tabella), oltre 5,6 milioni di famiglie oggi escluse dagli 80 euro. Più altre 6 milioni di famiglie con figli che dal 2014 incassano gli 80 euro, candidate a ricevere più soldi. Va detto che i numeri andrebbero segmentati per tenere conto solo delle famiglie che hanno figli a carico (under 26). Ma l’impressione è che la platea del bonus Renzi potrebbe crescere. Non solo. Sarebbero superati i limiti di quella misura nata in corsa alla vigilia delle Europee di maggio 2014. E poi rimasta una spesa nel bilancio dello Stato, anziché una diminuzione di tasse. Con tutte le storture tecniche: non va a disoccupati, lavoratori autonomi, precari, incapienti sotto gli 8 mila euro, ceto medio sopra 26 mila euro, pensionati. Spetta per reddito personale, non familiare. Due coniugi che guadagnano ciascuno 24 mila euro (totale: 48 mila euro lordi) incassano 960 euro moltiplicati per due: 1.920 euro all’anno. Mentre una famiglia con due figli monoreddito da 30 mila euro lordi prende zero. Non solo. Chi si trova poco sopra gli 8 mila euro di reddito incassa il bonus, chi poco sotto no. Chi fa uno straordinario e supera anche di un euro i 26 mila euro resta a bocca asciutta. Chi lavora con più di un contratto all’anno rischia di prendere gli 80 euro e poi di restituirli: nel 2017 è successo a 1.771.468 lavoratori che hanno ridato indietro quasi mezzo miliardo di euro (494 milioni). Distorsioni che l’assegno unico scioglierebbe. Allargando la platea. Ridando dignità e coraggio a chi fa figli. Stimolando i consumi. Almeno così verrebbe spiegata. Nel 2014 il Pil era 9 punti sotto il livello pre-crisi. Un milione in meno di posti di lavoro. Stipendi fermi. Serviva una scossa. Ora c’è l’emergenza denatalità: nel 2017 è stato toccato il minimo assoluto dall’Unità d’Italia, solo 467 mila nascite. Record ritoccato nel 2018: altre 9 mila in meno. «Senza i 10 miliardi degli 80 euro l’assegno unico non si fa», incalza Gigi De Palo, presidente del Forum Famiglie. «La nascita di un figlio è la seconda causa di povertà in Italia, la politica non può girarsi dall’altra parte».