Giovane, operaio o artigiano,con un livello di istruzione medio-basso, spesso vittima di violenze e discriminazioni, più raramente autore di reati. Eccolo l’identikit dell’immigrato, o meglio, dell’africano-tipo. Ma non è realtà, è solo fiction. Dal “Commissario Montalbano” a “Grey’s Anatomy”, sempre più spesso le serie tv ospitano infatti personaggi d’origine africana. Ma come li raccontano? «In maniera per lo più positiva», seppure con qualche comodo cliché. Con la comicità in prima linea a «sfidare i peggiori stereotipi». «Dobbiamo fare l’Africa come piace alla gente, bambini poveri con le panze gonfie, polvere e povertà, tanta povertà». Per René, il regista culto della serie satirica “Boris”, non ci sono dubbi: l’Africa è questa. Ma nelle fiction di ultima generazione le cose vanno, per fortuna, diversamente. A fotografare la rappresentazione degli africani in 30 diverse serie tv italiane ed estere (da Rai a Mediaset, da La7 a Sky e Netflix) è il dossier “L’Africa Mediata” di Amref, curato dall’Osservatorio di Pavia. Nell’insieme vengono analizzati ben 304 personaggi con gli occidentali (72% del campione) che staccano di molto gli africani (23%): «Dunque — scrivono i ricercatori — anche nelle fiction scelte perché incentrate sugli africani, la loro presenza rimane minoritaria». I subsahariani compaiono più spesso nelle serie anglosassoni, i nordafricani in quelle francesi e spagnole. Nella fiction italiana c’è invece un perfetto equilibrio. I personaggi occidentali in tv svolgono spesso professioni di prestigio e hanno un livello culturale generalmente più elevato. Quelli africani sono più frequentemente artigiani, commercianti e operai. In compenso, rispetto agli occidentali, sono ben più giovani (il 63% ha meno di 35 anni). E ancora: oltre il 30% degli africani risulta vittima di violenze, discriminazioni o guerre (contro l’11% degli occidentali), mentre nel ruolo di criminali le distanze sono meno accentuate: i personaggi africani risultano autori di reati nel 18,8% dei casi, gli occidentali nell’13,7%. I primi appaiono particolarmente attivi nel narcotraffico e nel terrorismo, mentre gli occidentali hanno un profilo criminale più incentrato su omicidi e reati economici. «Non sono pochi, però, gli attori arabi che lamentano di essere scritturati soltanto per interpretare il ruolo di terrorista». Resta il fatto che laddove si parla di criminalità straniera, «come in due episodi di “Nero a metà” e del “Commissario Montalbano” (narcotraffico nel primo e uno stupro commesso dagli scafisti nel secondo), la narrazione dominante è di contrasto agli stereotipi». Non sono poche inoltre le fiction che mettono in scena il mondo delle ong: «Il tema della cooperazione e del volontariato è evocato nel 30% dei titoli. L’immagine che ne viene restituita, però, è in vari casi negativa». Lo studio valuta anche l’immagine complessiva che le sceneggiature assegnano ai personaggi africani e occidentali. Ebbene, «su questo piano le differenze non appaiono rilevanti, anche se si osserva una rappresentazione un po’ più positiva per i personaggi africani». Con un caso-modello nella fiction italiana “Nero a metà”, che mette in scena una coppia di poliziotti formata da un ispettore romano e un vice-ispettore ivoriano. Ma non mancano casi in cui i protagonisti africani «somigliano in tutto e per tutto agli occidentali e non risultano portatori di quella diversità culturale che invece spesso esprimono le minoranze etniche reali». Per questo, Guglielmo Micucci, direttore di Amref, suggerisce un passo ulteriore: «Quello di coinvolgere professionisti di origine africana anche nella fase di scrittura della sceneggiatura». Un ruolo centrale spetta infine alla satira: «La comicità infatti si rivela un buono strumento per sfidare gli stereotipi sull’Africa e sugli africani, come nelle serie “L’ispettore Coliandro” e “Boris”».