Vittorino Andreoli

«I ragazzi? Fanno paura, sembrano robot» Lo psichiatra Vittorino Andreoli: insicuri e assuefatti dalla Rete, vivono senza regole.

SI È IMMERSO nei casi di cronaca nera più importanti d’Italia. Ma davanti alla violenza dei giovani di oggi rimane ancora colpito. Lo psichiatra Vittorino Andreoli (in uscita il 3 settembre col nuovo saggio ‘Il futuro del mondo’ di cui dice: «Ho avuto voglia di andare a trovare i miei bauli dove nascondevo gli scritti. Ero un giovane studioso e volevo raccontare storie: ma uno scienziato non poteva dire ‘scrivo racconti’, era patologico. Ora rivelo quello che non ho detto fino a oggi: ho avuto un po’ di pudore a farlo») affronta la crisi dei giovani. Professore, che rapporto c’è tra l’aggressività (spesso del branco) e il boom della realtà virtuale? «Il branco è patologico, perché ha un leader; mentre il gruppo di pari età non ce l’ha. I giovani vivono nell’insicurezza e il mondo digitale non ha un’etica: questo mix è esplosivo. La vita umana, invece, ha una morale». Un ragazzo di 23 anni che accoltella a morte il coetaneo rivale d’amore e chiede ‘scusa’ su Facebook, come se facesse il discorso di ringraziamento agli Oscar, cosa le fa pensare? «Che non è un pentimento. Dice ‘ho fatto una cazzata’ e non ‘ho soppresso una vita’. Questi giovani non sanno cosa sono la morte e il valore della vita. Quando mi occupai del caso Pietro Maso, non capivo cosa lo aveva portato a sterminare la famiglia. Così andavo in carcere a trovarlo ogni sera. Una volta lui mi disse: ‘Professore, avrò fatto una cazzata, ma lei non può venire qui ogni sera a stressarmi’. La lampadina si accese: per lui la famiglia era un salvadanaio. I giovani d’oggi sono esempi robotici». Il futuro che la rivoluzione digitale ci prospetta (camerieri robot, colonie su Marte, auto volanti) le piace? «No, è la fine della civiltà occidentale. Il cervello umano ha possibilità incredibili, mentre il cervello digitale non ha sentimenti, odio, amore: mi sembra follia. Stiamo trasferendo nei processori ciò che dovrebbe fare il nostro cervello, spegnendolo sempre di più». I giovani sono condannati al tunnel dei social o c’è una via di salvezza? «Sono preoccupato per i giovani. Si attaccano a questo mondo colorato, che è facile. Il vantaggio del web è che se c’è qualcosa che non ci piace, clicchiamo e scompare. Nella vita concreta è un po’ più complesso. O i computer servono di aiuto al cervello umano, come nella scienza, o lo sostituiscono». Giovani che ‘escono’ di casa inmedia a 34 anni, che passano ore e ore sul web, che sono iper difesi (e allo stesso tempo ignorati) dai genitori. Che figli stiamo crescendo? «Educare le nuove generazioni è il problema più importante della società. Eppure nei contratti politici non esiste una strategia specifica, la vera emergenza dell’Italia. I ragazzi non hanno futuro. Non si parla più di droga e la gente muore di più che in passato: i nostri figli sono abbandonati». Anche le aggressioni ai medici sono in aumento. «Non c’è più rispetto, ognuno ritiene di poter ottenere con i pugni». Lei è mai stato minacciato o aggredito durante il lavoro? «Mai. Sono entrato in un manicomio per la prima volta nel luglio 1959 e non ho mai legato un malato. Se devo farlo, cambio mestiere. Non sono mai stato respinto, neanche verbalmente, pur occupandomi sempre dei casi più spinosi. Il segreto è conoscere la disciplina e sapere come usare i farmaci». Tra tutti i matti, come ama definirli lei, e assassini, che ha avuto in cura, ce n’è stato uno di cui ha avuto davvero paura? «Solo paura no, ma fascino, che è attrazione più paura, sì. Andavo a trovare spesso in cella Donato Bilancia (uccise 17 persone in sei mesi e fu condannato a 16 ergastoli, ndr) e lui mi disse: ‘Professore, ci sono due persone che stimo nella vita. Il primo è chi mi ha insegnato a rubare, un grande scassinatore. La seconda è lei’». I ragazzi di oggi, cattivi e frustrati, le fanno paura? «Ho assistito ai crimini più efferati e la prima domanda al killer era: cos’è per te la morte? La risposta era: ‘Ma cosa c’entra? Non lo so’. Conoscono solo il telefonino, le scarpe nuove. Fanno paura perché compiono atti inaccettabili: uccidere è un mezzo per togliere un ostacolo, fare gli ‘eroi del sabato sera’ è una modalità per riempire lo spazio nei social. Ma è possibile raccontare un delitto al social e non al padre o al prete?».