A Prodi non basta il governo: “Duri l’intera legislatura”

A Ravenna Romano Prodi viene accolto come una vecchia rock star. Sala piena, pubblico in piedi, standing ovation di due minuti. Non veniva a una festa dell ’Unità da 11 anni. L’et erno Professore non sembra poi tanto invecchiato dagli antichi fasti di Piazza Santissimi Apostoli (erano i gloriosi anni 90): è asciutto e abbronzato, ride, si toglie subito la giacca, saluta calorosamente la platea. È CONSIDERATO tra i principali artefici della svolta penta-governista del Pd: la necessità di un’alleanza con i detestati grillini l’ha scritta lui tra i primi, in un editoriale sul Me ssa gger o, parlando di “modello Orsola” (cioè la “versione italiana”di Ursula von der Leyen, commissaria europea baciata dai voti di Cinque Stelle e dem). Il professore non lo nasconde, anzi lo rivendica con un certo orgoglio: non è il “padre nobile”del governo che sta nascendo, ma per questioni anagrafiche. Però “nonno n ob i l e” sì, eccome. “Qual era l’alternativa?”, chiede, con una domanda retorica, a questo incontro forzato tra il Movimento e il Partito democratico?. D’altra parte, come spiega con una punta di civetteria, “Salvini mica l’ho fatto fuori io, s’è fatto fuori da solo: si riteneva simile a Dio…”. Il Professore è tornato in cattedra e non scende più: a Ravenna è venuto a dare la linea. “Serve un programma comune e questa esperienza deve durare, anche faticosamente, per tutta la legislatura”. Elargisce consigli: “Bi – sogna stare attenti alla formula. Grillo dice di fare un governo di tecnici… niente affatto! Non avrebbe forza. Va fatto un governo politico”. Ma non col “m anuale Cencelli, altrimenti è finita”. Invece servono ministri “di garanzia”, al di fuori delle correnti: “Tre o quattro. Ai miei tempi c’erano figure come quella di Ciampi. Non erano graditissime da tutti, ma erano credibili. Quando c’era tensione, sapevano mettere in sicurezza il governo”. Lancia un’altra proposta: “Serve un ministero che si occupi solo di immigrazione. Un ministero dell’Integrazione”. Anche se “lo Stato deve esercitare un controllo sulle Ong”. Poi indica gli argomenti dirimenti: “Distribuzione del reddito, nuovo rapporto con l’ambiente, sicurezza riguardo salute e scuola, ovvero il welfare. E basta: questi sono i punti. E poi serve una lotta spietata all’evasione fiscale”. LA LUNGA ALA protettiva di Prodi abbraccia Nicola Zingaretti: “Chi decide tra lui e Renzi? La cosa è semplicissima: nel Pd comanda il segretario”. Grande applauso della platea. E poi aggiunta ironica: “Ieri nel discorso conclusivo Zingaretti ha avuto un solo voto contro. Una roba sovietica. Per il Pd è incredibile”. A intervistarlo c’è Lucia Annunziata, la direttrice di Huffin – gton Post che si è schierata con nettezza per le elezioni. La prima domanda gli strappa un sorriso: “Le piace Conte?”. Risposta sardonica: “Vediamo”. Seconda domanda: “È il suo erede?”. Altra risata: “Auguro al suo governo di durare più dei miei”. Poi la giornalista lo chiede al pubblico: “A quanti di voi piace Conte?”. Le mani che si alzano sono pochine. Ma a Prodi nulla toglie il sorriso: “È una buona minoranza”. A Ravenna l’ex premier sembra uno dei pochi che ha idee imperturbabilmente chiare. Nell’estate del 2019, quella del grande compromesso con i Cinque Stelle (se sarà storico, lo dirà il tempo), “la grande comunità po liti ca” del Pd sembra aver smarrito i punti cardinali. Così succede che prima di Prodi, uno degli applausi più fragorosi della serata se lo prenda Oscar Giannino, speaker radiofonico, vecchio repubblicano, vivace intellettuale di (centro)destra: “Vi mando un forte abbraccio perché la prova che vi aspetta è fondamentale per la tenuta civile. Sarà cruciale per non consegnare Italia a un autoritarismo pericoloso per la libertà”. Giannino è uno degli ospiti della festa del Pd in un dibattito in memoria di Massimo Bordin, la voce di Radio Radicale che se n’è andata ad aprile. Bordin, come Giannino, detestava cordialmente il Movimento Cinque Stelle. Quel Movimento Cinque Stelle che ha provato, ed è quasi riuscito, a chiudere Radio Radicale. SUL PALCO c’è anche Roberto Giachetti. Era il candidato di Renzi contro Zingaretti alle primarie dem. Il suo programma consisteva in sostanza in un solo punto: mai alleanze con i Cinque Stelle (“il Pd muore se va con loro”). Nel frattempo Renzi è diventato l’uomo che ispira e rivendica il patto con i grillini e Giachetti – mentre omaggia l’an – tigrillino Bordin e la radio che i grillini volevano spegnere – non si sente tanto bene. “Il momento – dice – è molto particolare. Ma abbiamo dimostrato una grande capacità di lettura degli eventi”. Dice proprio così: è la più creativa definizione della grande giravolta del Pd e dei Cinque Stelle. “Una grande capacità di lettura degli eventi”. Beato il popolo che non ha bisogno di Prodi.