Anche l’Africa brucia, ma fa meno paura

Anche l’Africa brucia. Forse più dell’Amazzonia, sicuramente più di quanto è bruciata la Siberia. Le fiamme divorano savane, boscaglie ma anche parti dell’immensa foresta pluviale del Bacino del fiume Congo, un polmone verde di oltre due milioni di chilometri quadrati che si distende attraverso sei Paesi. Le fiamme divampano, quasi in silenzio, lontano dai riflettori dei media internazionali, puntati in gran parte sul Brasile. L’occhio del satellite, però, ci racconta un’altra, preoccupante storia. I dati della Nasa hanno registrato in un tipico giorno di agosto di circa 10mila incendi nel mondo. Il 70% era in Africa. La scorsa settimana,nell’arco di pochi giorni, in Angola era scoppiati oltre 6mila incendi, nel Congo Rdc più di 3mila, nelle regioni amazzoniche del Brasile duemila e cento. Anche il secondo polmone verde del mondo è a rischio? A meno che non vengano adottati interventi su larga scala contro la deforestazione, sul lungo termine sono in pericolo tutte le grandi foreste. Ma la deforestazione in Africa non sta procedendo alla stessa allarmante velocità di quanto sta accadendo in Sud America. Nella foresta amazzonica i grandi incendi sono dovuti soprattutto al cambiamento climatico e alle siccità e stanno distruggendo la grande foresta pluviale. In Africa spesso sono incendi più ridotti. È la controversa pratica dello slash and burn. Contadini e pastori bruciano la vegetazione per avere terre fertili e pascoli. Che poi dopo qualche anno abbandonano. Accade soprattutto nelle aree limitrofe alla foresta e nelle savane. Qualche esperto di fama mondiale, come Sally Archibald, invoca una gestione migliore per questi «roghi tradizionali» ma arriva a sostenere che possano avere anche effetti positivi. Altri esperti precisano che i dati sulla deforestazione vanno letti in modo diverso perché i rapporti della Fao considerano foreste anche le piantagioni. Altri ancora puntano il dito sull’imponente incremento demografico che stravolgerà l’Africa nei prossimi 30 anni (più della metà della crescita demografica globale). Ecco perchéè il maggior fabbisogno alimentare della popolazione (non solo africana), che sta portando a quelle grandi monocolture dannose per l’ecosistema, rappresentano un grande pericolo. Gli incendi per ricavare carbone di legna, pratica molto diffusa nei Paesi più poveri dove l’accesso a gas ed eletricità è molto limitato, sono un altro preoccupante fenomeno africano. Così come le pratiche di governi inclini a rilasciare licenze illegali per il taglio del legname pregiato, che aggiungono benzina sul fuoco. Il vero nemico si chiama industrializzazione agricola, quella senza regole. Ciò che è accaduto in Costa d’Avorio e in Ghana deve suonare come un campanello di allarme. Per lasciar spazio alle monoculture di cacao (la loro produzione copre il 60% di quella mondiale) i due Paesi hanno già perso il 90% delle foreste originarie,denuciava in dicembre l’Ong Mighty Earth. La biodiversità è in grave pericolo, va tutelata, ha precisato la Fao in un rapporto pochi giorni fa. Le foreste africane possono esser salvate. Ma bisogna far presto. E agire insieme. Prima che sia tardi.