Andrea Marcucci (Claudio Bozza)

«Credo che Matteo Renzi faccia un errorealasciare il Pd, che è ancora l’unico partito apertoecontendibile. Io resto in questo, perché sono convinto che ci sia ancora una spazio liberaldemocratico». Letta così, suonerebbe come una delle tante dichiarazioni di parlamentari contrari all’addio dell’ex premier. Ma la cosa politicamente sorprendente, nel mezzo della bufera della scissione, è che a pronunciare queste parole è Andrea Marcucci, capogruppo dem al Senato, ma soprattutto iper renziano da sempre. Il senatore della Garfagnana, dove si trova anche il quartier generale della sua Kedrion (colosso degli emoderivati che fattura quasi 700 milioni l’anno), è stato un importante sostenitore (anche a livello economico) di Renzi fin dall’inizio della sua scalata. Ma soprattutto, appena lo scorso mese di agosto, aveva messo a disposizione un’ala del proprio resort (Il Ciocco) per ospitareicento giovani che si erano iscritti a «Meritare l’Italia», la scuola di formazione politica guidata dall’ex premier. Soltanto che nel momento clou, il senatore Marcucci, un primo mandato da deputato nel 1992 con il Pli di Renato Altissimo per poi passare alla Margherita, non se l’è sentita di seguire il fu rottamatore nella nuova casa di Italia viva. «Matteo è un amicoeresta un protagonista di una straordinaria stagione di governo, il cui patrimonio resta interamenteadisposizione del centrosinistra, anche per il futuro — riflette Marcucci, che formalmente fa parte di Base riformista, corrente guidata da Luca Lotti e dal ministro Lorenzo Guerini —. Io nel Pd mi sento ancora a casa mia, se si dovesse trasformare in un soggetto politico più vicino ai Ds, mi sentirei un estraneo». E poi: «Il mio rapporto personale con Renzi non è in discussione: penso che si sia fatto trascinare dall’istinto in questa decisione, ci ho parlato fino all’ultimo e gli ho detto subito che non ero d’accordo sulla svolta che stava maturando». Adesso per il senatore, però, non sarà una passeggiata rimanere in sella come capogruppo, e oggi incontrerà tutto il gruppo dei senatori dem. È una questione di numeri, che, almeno per il momento, sembrano pendere ancora dalla sua parte. A Palazzo Madama, perso Matteo Richetti passatoaSiamo europei, i senatori del Pd sono 50: sottraendone 12-13 che andranno in Italia viva, Marcucci potrebbe contare sull’appoggio di 20-21 colleghi, una manciata in più rispettoaquelli che stanno con il segretario Zingaretti. Proprio analizzando questi numeri, e specie perché Marcucci sottolinea che non sarà mai nemico di Renzi, sorge spontaneo l’interrogativo che possa trattarsi di un’operazione di facciata perrimanere al timone a Palazzo Madama. Ma dall’entourage di Marcucci assicurano: «È una frattura politica vera, niente giochetti: il senatore crede davvero che Renzi abbia fatto una mossa azzardata, difficile da spiegare alla gente». Tant’è che mentre l’ex leader dem ufficializza il nome del nuovo partito davanti alle telecamere di Porta a Porta, il capogruppo spiega: «Io resto a fare il mio lavoro nel Partito democratico—riflette Marcucci —. Ma mai diventerò un denigratore di Matteo». E sulla possibilità che il baricentro dem si sposti più a sinistra, con il possibile rientro di D’Alema e Bersani: «Un ritorno alla Quercia? Non credo che succederà — conclude Marcucci —, resto tra i democratici anche perché ciò non accada».