Paolo Valentino
«Sono lieto che, con la formazione di questo nuovo governo, l’Italia sia tornata in campo in Europa. Il momento è propizio», dice il presidente della Repubblica Federale Tedesca, FrankWalter Steinmeier, che domani arriva a Roma per una visita di Stato di due giorni. Nell’intervista esclusiva al nostro giornale, Steinmeier si dice certo che «la stretta cooperazione europea tra Italia e Germania sarà necessaria e costruttiva» e indica come obiettivo primario del suo viaggio quello di «dare nuovo impulso a questa collaborazione». Accogliendoci nel suo ufficio a Palazzo Bellevue, Steinmeier spiega cosa definisce il rapporto tra Italia e Germania in Europa: «Per quanto possiamo essere diversi, noi tedeschi e italiani abbiamo tratto la giusta conclusione dagli orrori del fascismo, del nazionalismo e delle due guerre del secolo scorso. La giusta conclusione è la nostra Europa unita. Italia e Germania sono tra gli Stati fondatori dell’Ue. Insieme abbiamo investito nel corso di tanti decenni tutta la nostra volontà, la nostra energia e le nostre forze per unire quest’Europa e non ricadere mai più nei conflitti del passato. Insieme abbiamo poi creato da questo progetto di pace un’unione politica che ci rende forti laddove uno Stato da solo è troppo debole. Ma non v’è dubbio che l’Ue stia attraversando una fase difficile e abbia urgentemente bisogno di Stati membri che preservino e ristabiliscano la sua capacità di agire. Proprio in questo momento—all’inizio di un nuovo mandato della Commissione — vengono ridefinite le basi politiche e finanziarie». Lei ha un ottimo rapporto personale con il presidente Mattarella. Cosa lo caratterizza? «Il presidente Mattarella è senz’altro il capo di Stato che più ho incontratoalivello mondiale. Ci siamo già visti ben cinque volte. E sono felice che ci rivedremo ora nel corso della mia visita a Roma e anche a Napoli. Il presidente della Repubblica ed io abbiamo molto in comune: non solo la visione condivisa dell’Europa e la convinta volontà di preservare la coesione europea, ma anche lo stesso sguardo verso i nostririspettivi Paesi.Osserviamo con preoccupazione le lacerazioni che innegabilmente ci sono, tra regioni, tra generazioni, tra ricchi e poveri. Entrambi investiamo molto tempo e forze per mantenere la coesione nei nostri Paesi. Ci opponiamo entrambi all’imbarbarimento del linguaggio e alla polarizzazione in politica. Io e il presidente Mattarella ci adoperiamo per la democrazia, sapendo che non può mai vivere senza controversie, ma che nelle controversie devono essere rispettate le regole del gioco. Siamo entrambi persone che sostengono la ragione, il rispetto, il senso della misura e la moderazione». In due recenti occasioni, a Fivizzano e in Polonia, lei ha confermato di prendere molto sul serio la responsabilità storica della Germania e i crimini tedeschi nella Seconda guerra mondiale. Eppure la Polonia rilancia il tema delle riparazioni. È una richiesta fondata? «Non c’è un futuro positivo senza confronto con il passato. Pertanto, proprio in questo periodo mi dedico alla commemorazione dell’ottantesimo anniversario dell’inizio della guerra e al ricordo delle terribili stragi commesse da SS e Wehrmacht in Toscana. Per tale motivo era così importante per me la visita a Fivizzano. Insieme a quelle precedenti a Civitella, alle Fosse Ardeatine a Roma e alla Risiera di San Sabba voglio mostrare che la nostra commemorazione comune per me è più del riconoscimento della colpa tedesca. È soprattutto il desiderio di rivolgere verso il futuro il cammino di riconciliazione che Germania e Italia hanno intrapreso insieme. La Commissione storica italo-tedesca, che istituii insieme al mio omologo italiano nel 2008 nella mia veste di allora ministro degli Esteri, e il Fondo italo-tedesco per il futuro fondato in seguito sono molto importanti a tal fine. Nel frattempo sono stati realizzati oltre 50 progetti della memoria in Italia. Questo è il modo giusto di affrontare il passato: non considerarlo concluso, bensì come una responsabilità comune per un futuro migliore. Spero che potremo proseguire questo cammino anche con la Polonia senza perderci in un dibattito sulle riparazioni proiettato all’indietro». Il tema migrazioni divide l’Europa. La linea dura del precedente governo italiano, impersonata dall’ex ministro degli Interni Salvini, ha portato a fasi di tensione con la Germania. Come si risponde a questa sfida? «L’Italia e al più tardi dal 2015 anche la Germania hanno fatto molto per i migranti giunti attraverso il Mediterraneo. È quindi ancora più deplorevole che i due Paesi si siano allontanati l’uno dall’altro, nel corso dell’ultimo anno e mezzo, proprio nella questione dei rifugiati. La situazione nel Mediterraneo non è migliorata, come dimostra già il solo numero di morti. Sono certo che con il nuovo governo italiano ci siano i presupposti per lavorare a soluzioni comuni. Ciò che per me è veramente fondamentale è che non dobbiamo lasciare l’Italia da sola in tutto questo. Sono fiducioso che la nuova Commissione europea si adopererà con risolutezza per trovare soluzioni nella questione migratoria. Spero che in futuro verrà dato più sostegno che in passato agli sforzi comuni europei che alleggerirebbero il peso che grava sull’Italia. Desidero aggiungere che la nostra cooperazione non si limita alla questione dei migranti. La questione migratoria è strettamente connessa con la Libia, dove la situazione richiede un nuovo sforzo europeo se si vuole bloccare l’erosione dello Stato. Italia e Germania, insieme alla Francia, potrebbero lanciareepreparare una tale iniziativa». Le recenti elezioni regionali in Brandeburgo e Sassonia hanno mostrato una divisione profonda nell’elettorato. Trenta anni dopo la caduta del Muro, Est e Ovest della Germania sembrano più lontani di quanto si pensasse. Cos’è andato male nella riunificazione? «A Est eaOvest apprendiamo che l’unità tedesca è molto più di una decisione politica presa una volta. Si tratta di un processo che non si è concluso nemmeno dopo 30 anni. La riunificazione non significa solo creare condizioni economiche equiparabili in tutta la Germania. A 30 anni dalla riunificazione tedesca, siamo grati ai combattenti per la libertà dell’ex Ddr tanto quanto lo siamo ai nostri vicini europei che l’hanno resa possibile. E ci rendiamo conto che c’è ancora molto da fare. Nei primi anni del processo di unificazione abbiamo ignorato alcune cose che per la popolazione della Germania dell’Est erano importanti almeno quanto la sua situazione economica: le fratture nelle biografie e il difficile nuovo inizio che l’unità tedesca ha significato per molte persone. Le loro storie personali non sono ancora entrate a far parte del “noi” comune con la stessa ovvietà con cui ciò è avvenuto invece per le storie della Germania occidentale. C’è molto da recuperare. Quale presidente federale mi impegno per farlo insieme». È un fatto che nell’Est un elettore su quattro vota un partito di estrema destra nazionalista. «Le democrazie liberali dell’Occidente vengono contestate in molti Paesi. Forse inGermania abbiamo sperato troppo a lungo che gli sviluppi verificatisi altrove non si manifestassero anche da noi, speravamo di essere al sicuro anche grazie alla nostra forza economica e alla stabilità che ne consegue. È evidente che non è così. Anche da noi in Germania, parte della popolazione tende ad esprimere il malcontento nei confronti del governo, dei partiti di governo e dei rappresentanti delle istituzioni democratiche solo attraverso una sfrenata indignazione e critica del sistema. Il linguaggio è diventato più implacabile e spietato nel dibattito politico, soprattutto nei social media. Sono abbastanza realista da sapere che questo non si può cambiare da un giorno all’altro». Qual è il compito della classe politica democratica di fronteaquesta ideologia? «Avremo bisogno di molto tempo, energia e anche impegno personale per riguadagnare la credibilità della politica democratica laddove è andata persa tra gli elettori. Si cominci con la politica che si occupa dei problemi reali della genteeoffre soluzioni dove sono urgentemente attese. E a mio avviso si continui con la presenza dei rappresentanti politici dove non si fanno vedere da molto tempo. Questo significa andare via dalla capitale e recarsi invece nelle regioni. Dobbiamo convincere di nuovo la gente che l’affermazione della democrazia vuol dire anche vivere nella diversità. Questa è la particolarità delle società aperte: che le persone s’incontrano con le loro differenze, con le loro peculiarità e anche con le loro ostinatezze. Tutti hanno il diritto di essere ascoltati, ma non tutti possono aspettarsi che le loro opinioni e posizioni alla fine si riflettano in decisioni politiche. Dobbiamo promuovere la consapevolezza che la qualità della democrazia sta proprio nell’organizzare l’equilibrio tra i diversi interessi all’interno della società, che la democrazia non può assolutamente sopravvivere senza compromessi».