Bill Emmott

Cos’è un partito politico populista, qual è il suo scopo e quanto dovremmo esserne preoccupati? Queste domande girano nella testa degli analisti politici da quando, negli ultimi dieci anni, partiti come il Movimento Cinque Stelle, Podemos in Spagna, il Fronte Nazionale francese o i Democratici svedesi hanno iniziato a crescere nelle urne in Europa. La risposta italiana è sembrata più semplice durante il governo gialloverde degli ultimi 18 mesi, poiché Matteo Salvini ci ha detto che si trattava di immigrati e sovranità nazionale e Luigi Di Maio non ha detto molto di comprensibile. Ora, con il nuovo governo giallorosso formato da Giuseppe Conte, dovremo ancora una volta cercare delle risposte. Fuori dall’Italia era prassi comune, tanto incongruo appariva questo matrimonio, cercare di spiegare la coalizione gialloverde ad altri stranieri dicendo che era come se Donald Trump avesse deciso di formare un governo insieme al senatore Bernie Sanders, il candidato democratico alla presidenza autoproclamatosi “socialista”. C’era del vero in quell’idea, ma si potrebbe obiettare che Salvini e Di Maio si sono rivelati un po’ meno distruttivi di quanto suggerisca il parallelo con Trump, anche se altrettanto caotici e narcisisti. Questo è probabilmente il motivo per cui gli investitori nazionali e internazionali sembrano così calmi al pensiero che Cinque Stelle e Partito Democratico stiano finendo a letto insieme. I gialloverdi essenzialmente hanno fatto molto chiasso ma realizzato poco, o almeno poco del tipo di azione fiscale che avrebbe potuto destabilizzare l’economia, quindi perché i giallorossi dovrebbero andare peggio? Sì, ci sono di mezzo personalità difficili, ma per gli osservatori stranieri questo è di scarso interesse. Il Pd può piacere o meno, ma è un animale domestico, con difetti prevedibili e gestibili. Quindi, ovviamente, sostituire un partito prevedibile, moderato e filoeuropeo all’esplosivo Salvini appare un passo in avanti agli osservatori internazionali, anche per quelli che potrebbero apprezzare una ricetta tradizionale di destra di riduzioni fiscali e deregolamentazione. Le possibilità di inutili scontri con Bruxelles sembrano troppo alte e pochi credono davvero che una coalizione di destra porterebbe fino in fondo un programma coerente di liberalizzazione e riforme. Non è mai accaduto sotto Silvio Berlusconi, in ogni caso, e anche il signor Salvini mostra in realtà scarso interesse per una cosa del genere. Quindi ora tutto torna a ridursi alla domanda su cosa sia realmente il Movimento Cinque Stelle e quale sia il suo scopo. È pertinente definirlo populista? Questi sono i temi che tutti hanno in mente quando si chiedono se questo matrimonio giallorosso possa durare, dato il passato di inimicizia tra i due. Ciò che è emerso negli ultimi 15 mesi sui Cinque Stelle non è né molto stimolante né particolarmente preoccupante, tranne nella misura in cui si potrebbe aver perso tempo prezioso. Il reddito di cittadinanza non è, in teoria, molto diverso dai sistemi di sussidio vigenti in Scandinavia, quindi sebbene abbia chiaramente rappresentato uno sfacciato tentativo di guadagnare popolarità distribuendo denaro pubblico, non è una forma estrema di populismo. Una critica più mirata è che si tratta di una misura inefficace e di un uso mediocre degli scarsi fondi rispetto alle idee alternative – proprio come la superata legge pensionistica di Quota 100 – ma questa è un’altra questione. Pensieri analoghi si possono formulare all’idea di un salario minimo: potrebbe essere una cattiva idea per un Paese come l’Italia con un alto tasso di disoccupazione e una grande fetta di economia sommersa, ma qualcosa che è stato promosso in passato dai laburisti in Gran Bretagna e dal Partito socialdemocratico in Germania non può essere definito nè radicale, né particolarmente populista. Ridurre il numero dei parlamentari ha un sapore populista e anti-casta, ma dal momento che il presidente Emmanuel Macron ha appena proposto di fare lo stesso in Francia, non si può nemmeno trovarlo fuori luogo. Potrebbe anche essere una buona cosa. Anche il lato ambientalista dei Cinque Stelle è in linea con le tendenze europee, anche se troppo spesso si fonde con il pensiero anticapitalista e antimoderno, a differenza dei Verdi tedeschi. Ma poi, nell’ultimo anno, alcune figure di spicco dei Cinque Stelle hanno mostrato simpatie sovrane e nazionaliste, come quelle riguardo ad Alitalia o ai direttori di musei stranieri, quindi non possiamo essere sicuri che questo sparirà nel prossimo governo. La grande difficoltà sta nel mettere insieme tali idee e capire cosa ne possa uscire, che è un altro modo per chiedersi se i politici pentastellati appartengano davvero tutti allo stesso partito. Sono uniti da un atteggiamento di opposizione più che dall’ideologia. Questo è il motivo per cui la conclusione in definitiva deve essere questa: quegli investitori internazionali così tranquilli potrebbero sottovalutare la possibilità che tutto ciò possa sfaldarsi molto presto, quando effettivamente si verificherà l’implosione a lungo attesa dei Cinque Stelle. Questo è il problema con i “movimenti”: si muovono.