CHARLES A. KUPCHAN

Può darsi che il pendolo della politica cominci ad allontanarsi dal brutale nativismo e dallo stridente nazionalismo che hanno infettato l’Europa. L’esito del tormentato dibattito sulla Brexit resta ancora poco chiaro, e la durata e l’efficacia della nuova coalizione al governo dell’Italia rimangono incerti. Nonostante questo, la rivolta dei conservatori contro il primo ministro Boris Johnson e la caduta della Lega dal potere in Italia permettono di sperare che le società democratiche possano rientrare dagli estremi del populismo.

Il momento in cui viviamo resta molto pericoloso per la democrazia liberale e il pluralismo. Johnson, Salvini, Trump, Orban e i loro numerosi seguaci hanno dimostrato quanto le nostre società siano vulnerabili agli istinti politici più primitivi. Per quanto il ricorso alla demagogia e al razzismo sono ormai la nuova normalità, gli ultimi sviluppi in Gran Bretagna e in Italia fanno pensare che possa esserci un limite. La settimana scorsa il parlamento britannico ha passato una legge che vieta la Brexit senza accordo. L’insurrezione dei conservatori potrebbe impedirla, o potrebbe anche non servire a nulla. Ma il fatto stesso che questa rivolta sia nata è un segnale benvenuto: forse i meccanismi di autocorrezione della democrazia liberale stanno tornando a funzionare a Londra, contrapponendosi a un premier che sta saggiando i limiti delle norme costituzionali, guidando il Paese verso il precipizio. Il Regno Unito resta profondamente diviso e politicamente disfunzionale ma, almeno per ora, politica moderata e buon senso hanno prevalso sull’autolesionismo populista. Quello che è avvenuto in Italia produce una speranza simile, che la politica del centrismo e del compromesso possa prevalere contro gli estremismi populisti. La coalizione tra Pd e M5S non condivide molto terreno ideologico, né promette un governo efficiente. Emarginare Salvini è stata però una priorità e un’urgenza, e il sistema politico ha reagito nella maniera adeguata. L’orribile ostilità verso gli immigrati e l’eurofobia irresponsabile della Lega esercitano ancora un’attrattiva su un vasto pubblico, ma intanto l’Italia sta tornando verso una politica meno tossica. Queste svolte sono benvenute alla luce del consolidamento dei leader populisti in altre democrazie occidentali. In Ungheria, la presa di Orban sul potere non ha fatto che aumentare nel tempo. In Polonia, il Partito legge e giustizia ha ottenuto un buon risultato alle elezioni del Parlamento europeo nello scorso maggio e promette di andare bene alle imminenti politiche di ottobre. Ancora più preoccupante, l’offensiva nativista e nazionalista di Donald Trump, all’estero e in patria, non mostra segni di cedimento. Anzi, il suo uso pericoloso non farà che intensificarsi mentre cercherà di mobilitare la sua base, e demonizzare i democratici, in vista delle elezioni del 2020. È vero che i democratici si sono ripresi la Camera l’anno scorso, dove fungono da necessario contrappeso. Trump però continua a fare danni enormi a casa e all’estero, oltre che a calpestare gli ideali della democrazia, conservando il solido sostegno del circa 40 per cento dell’elettorato, un buon trampolino dal quale tentare la rielezione l’anno prossimo. La vile sottomissione del Partito repubblicano è stata devastante quanto Trump. I membri più scaltri del Congresso si stanno allineando a un demagogo imprevedibile e sconclusionato, che però ha conquistato la base repubblicana, e che condivide se non altro alcune delle loro priorità, inclusi i tagli fiscali e la nomina di giudici conservatori. Il Partito repubblicano ha però abbandonato le posizioni tradizionali su argomenti come il deficit, il commercio e l’immigrazione, oltre ad aver abdicato al proprio dovere di governo responsabile, e lo pagherà un caro prezzo. All’estero, la politica di Trump sta portando il mondo sull’orlo del disastro. In patria, i suoi deliri anti-immigrati, intrisi di nazionalismo bianco, e il ribaltamento degli ideali repubblicani mettono a rischio la stessa democrazia americana, e il pluralismo che alimenta la coesione sociale nonostante la diversità razziale, etnica e religiosa. Il silenzio è complice. Questo periodo lascerà una macchia indelebile sul Partito repubblicano. Gli eventi in Gran Bretagna e in Italia però permettono di sperare che i populisti possano essere fermati, su entrambe le sponde dell’Atlantico. A Londra, un manipolo di conservatori coraggiosi ha fermato, almeno per ora, Johnson. A Roma il pragmatismo politico ha rovesciato Salvini e riportato il Paese indietro dall’orlo del precipizio. Queste correzioni di corso sono state frutto di manovre politiche e non di un nuovo mandato elettorale, e perciò è troppo presto per dire se si tratta di una ritirata temporanea dei populisti o di una svolta politica più durevole. La risposta a questa domanda dipenderà dalla capacità delle voci della ragione nel Regno Unito e del nuovo governo italiano di generare un programma politico che si rivolga alle fonti dello scontento popolare, inclusi l’insicurezza economica e l’immigrazione. Ma dipenderà anche dall’esito delle elezioni statunitensi l’anno prossimo, un momento che sarà storico.