Concita De Gregorio

Si tratta, oggi, di sapere se ci piace o no il vestito blu indossato al giuramento da Teresa Bellanova e se una bracciante agricola con la terza media, poi sindacalista per trent’anni, abbia titoli per fare il ministro. Votate. Mettete like. Dite la vostra, e che sia una battuta sagace. Insultate, se non sapete fare di meglio, così qualcuno si indignerà dei vostri insulti e avremo la cronaca di domani: le voci in difesa della vittima. Un talk show, di certo, con favorevoli e contrari ai farpali blu che si urlano addosso, magari se abbiamo fortuna uno dei due abbandona lo studio e si impenna l’audience, il frammento video finisce in home page e fa milioni di clic. Bingo. Sale il prezzo della pubblicità del sito, così. Qualcuno, state sicuri, ci guadagna. Si potrebbe persino pensare: qualcuno lo fa apposta. La “polemica del giorno” (che come segnala la definizione dura un giorno: è diversa da quella del giorno prima ed è destinata ad essere sostituita da un’altra il giorno dopo) è la più grande arma di distrazione di massa concepita da chi manovra la presunta democrazia del web per dare a moltitudini di persone l’impressione di occuparsi dell’attualità (politica, sociale) e distoglierle invece da quel che di rilevante sta veramente accadendo, fuori dal cono di luce dell’hastag trending topic. Sugli algoritmi che governano il web e chi li usa a suo beneficio sono stati scritti trattati di cui non è il caso di parlare qui. Diamoli per noti, e se non sono noti: niente succede per caso, dicono. Se voleste saperne di più leggete “I nuovi poteri forti” di Franklin Foer, per esempio. Della polemica del giorno tocca comunque occuparsi, non c’è rimedio: l’antidoto non è stato ancora scoperto. Si può però usare lo spazio per fare delle domande, anziché dare assertive prevedibili risposte destinate a confermare gli opposti eserciti — pro farpali blu o contro, in questo caso — nelle sue posizioni. È quello che vorrei fare qui, un paio di domande. La prima è questa. Ci deve essere o no una corrispondenza fra quello che uno ha imparato a fare nella vita e il compito che è destinato a svolgere da ministro? Chiedo per sapere, senza polemica. Ci eravamo appena acconciati al diktat dell’incompetenza democratica e sovrana, candidati ai consigli di amministrazione estratti a sorte, commesse di biancheria intima incaricate di governare processi di sviluppo economico globale. Avevamo appena metabolizzato l’informazione che è opportuno nascondere eventuali master, manomettere i curricula, negare di aver speso anni a studiare e caso mai vantare una giovinezza da buttafuori, da karaoker o piastrellista per evitare l’infamante accusa di essere élite — il peggio del peggio: competenti, dunque casta sospetta — e ambire a rappresentare il popolo nell’unica forma di eguaglianza lecita. Quella al ribasso. Dunque, vediamo: non serve sapere di sanità per essere ministro della Salute (cioè non basta essere passati qualche volta al pronto soccorso) o sapere di strategie militari per essere ministro della Difesa, giusto? O vale sempre, questo principio, o non vale mai. Quindi mi concentrerei più sulle ragioni per cui a volte vale e a volte no, anche nella stessa compagine di governo — destra o sinistra che sia. Se vale, e sarebbe bello sapere che di nuovo vale, per Teresa Bellanova il discorso si chiude qui: è una dei non moltissimi, in questo governo come nei precedenti immediati, a vantare rispetto al suo compito una competenza specifica. Ha iniziato a fare la bracciante a 14 anni, il resto della sua storia lo trovate ovunque. La laurea non ce l’aveva nemmeno Giuseppe di Vittorio, pugliese come lei, eppure. Sul vestito e sulla silhouette non c’è da spendere nemmeno una parola: sono giù state dette tutte ed è mortificante, davvero, ripetere che se uno — uomo o donna che sia — è basso, magro, grasso, vestito di nero o di fucsia questo non insiste in nessun modo sulle sue capacita. Sulle donne si infierisce, sugli uomini assai meno: si sa, non è la notizia del giorno. C’è un lavoro grande da fare e speriamo che questo governo lo cominci, anzi lo ricominci, lo riprenda da dove si è interrotto. La ministra è spiritosa, oltre che combattiva. Ieri si è vestita a pois, ha fatto un hastag che dice “vestocomevoglio”. Il giorno prima aveva scritto “la vera eleganza è rispettare il proprio stato d’animo”. Sono i fondamentali. La seconda domanda è se, a parte i farpali e i pois, ci sia qualcuno a cui interessa la politica. Cioè i programmi, i propositi di chi è chiamato a rappresentarci tutti. In questo senso lo strano caso di Teresa Bellanova è davvero interessante. Perché nasce dalemiana, ‘scoperta’ da D’Alema come tanti a sinistra in Puglia, diventa bersaniana contro Renzi, infine renziana di ferro — in polemica persino con Martina, per un momento suo compagno di corrente e per un breve istante persino segretario del partito. Paladina del Jobs act, accusata di “tradimento” dalla sinistra del Pd. Alla ultime elezioni, in Puglia, Bellanova ha preso cinque volte i voti di D’Alema ma è stata tuttavia sconfitta da Barbara Lezzi del movimento Cinque stelle, diventata ministro per il Sud con il diploma di istituto tecnico — per stare ai titoli — e una carriera di impiegata di terzo livello nel settore commerciale, a Lecce. Terzo livello, leggo dove si spiega: commessa, vetrinista, assistente cassiera. Dunque fino all’altro ieri, in Puglia, D’Alema è stato superato da cinque giri di pista da Bellanova, che è tuttavia stata sconfitta da Lezzi: non esattamente un’esperta di politiche del Mezzogiorno. Oggi Pd e Cinquestelle governano insieme e tutto è perdonato. Ma nel ginepraio di correnti ostili del Pd, che in un futuro prossimo potrebbero decidere le sorti della longevità di questo governo, la pugnace, spiritosa e competente Bellanova come si regolerà se si dovesse votare per esempio una fiducia, o una riforma delle pensioni, o eleggere un presidente della Repubblica? In autonomia, come è pure probabile, o in ossequio a chi l’ha indicata tra i litigiosi leader della stessa metà campo? È una domanda. Più rilevante per il nostro futuro — mi sembra — del suo vestito di domani. Che sia giallo, a righe o a scacchi, e sentiamo il parere del fashion leader del momento, e mettiamo — vi prego, non mancate — mi piace. Del resto non occupatevi, ché è cosa da esperti. Il resto è potere.