Donato Masciandaro
Se davvero il nuovo governo intende avviare una efficace politica antievasione, la lotta al contante può essere un efficace bazooka. Basta avere la volontà politica di farlo funzionare. Tranne in un caso, in Italia non c’è mai stata. Nel programma del nuovo governo Conte un punto qualificante è rappresentato dalla lotta all’evasione fiscale ed al crimine organizzato. Nel perimetro monetario e finanziario c’è uno strumento che consentirebbe di fare passi in avanti in entrambe le direzioni: la lotta all’utilizzo della moneta contante. In linea di principio, la ragione è semplice da comprendere. L’evasione fiscale e le attività messe in atto dal crimine organizzato hanno due elementi comuni: sono reati che producono un reddito per chi li compie e contemporaneamente il legame tra il reo ed il criminale – sia esso un evasore o un mafioso – può aumentare la probabilità di scoperta del reato. Quindi il criminale ha tutto l’interesse di nascondere il suo legame con il reddito illegale – sia esso il frutto di evasione o di vendita di stupefacenti – attraverso una operazione di riciclaggio. Il contante è uno strumento di pagamento che può essere molto efficace ai fini di riciclaggio, date le sue caratteristiche di anonimato. Ma quanto è rilevante nella realtà italiana il legame tra l’economia grigia e nera da un lato ed il contante dall’altro? A questa domanda vengono di solito offerte due risposte opposte. Da un lato ci sono quelli che possiamo definire colombe, che vedono nella lotta al contante uno strumento necessario e sufficiente per combattere l’economia illegale nel nostro Paese: una radicale lotta al contante ridurrebbe evasione fiscale e crimine. Dall’altro lato possiamo porre i falchi, che considerano la lotta al contante uno strumento complessivamente inefficace: poiché il riciclaggio dei ricavi illegali può essere messo in atto anche con metodi diversi dall’utilizzo del contante, le limitazioni all’uso di tale mezzo di pagamento creerebbero esclusivamente un “effetto rimbalzo”: il reato di base – come l’evasione – verrebbe commesso comunque, e l’attività di riciclaggio passerebbe attraverso altri circuiti e/o settori; allo stesso tempo però, poiché le limitazioni al contante creano ostacoli alla realizzazione anche di operazioni lecite, l’effetto complessivo di tali normative risulta essere negativo. Chi ha ragione tra falchi e colombe? La risposta non può che essere empirica. Non è una risposta semplice, come tutti i quesiti che riguardano la stima dei fenomeni di economia illegale. I lavori internazionali comparati più recenti sul legame tra economia sommersa e contante che riguardano i paesi industrializzati negli anni più recenti mostrano innanzitutto che in generale le due variabili si muovono mano nella mano: al crescere dell’uso del contante cresce l’economia illegale. Ci sono delle eccezioni: da un lato, Germania ed Austria sono Paesi in cui un relativamente alto utilizzo del contante non è correlato ad una economia sommersa relativamente sviluppata; all’opposto, in Svezia il pressoché azzeramento del contante non corrisponde ad un azzeramento dell’economia illegale. Simulazioni econometriche consentono anche di stimare che riduzioni del 10% dell’uso del contante sono correlate a riduzioni del 2% dell’economia illegale, con una stima fino al 20% di minore economia illegale con un uso azzerato del contante. Per l’evasione fiscale in Italia, se proprio vogliamo un numero da calcolo da retro della busta, utilizzando la cifra circolata nei giorni scorsi di un’evasione stimata di quasi 34 miliardi di euro per la sola Iva, i vantaggi attesi di un’efficace lotta al contante non sarebbero affatto da sottovalutare. Certo nulla sappiamo dell’effetto rimbalzo, e non abbiamo i costi per le transazioni lecite; questi ultimi, peraltro, potrebbero essere minimizzati con una lotta al contante che non ne azzerasse l’uso, ma lo limitasse ad esempio in termini di importi e tagli di banconote. Inoltre, nessuno può negare per il nostro Paese la correlazione tra uso del contante e rischio riciclaggio, come mostrato da un recente studio della UIF – Banca d’Italia, che ha verosimilmente rafforzato la decisione delle nostre autorità di controllo di aumentare la soglia di attenzione sul fenomeno. È dei giorni nostri la notizia che gli intermediari dovranno offrire informazioni mensili e sistematiche sui clienti che fanno operazioni in contanti rilevanti. Insomma: la probabilità che la lotta al contante sia in Italia un bazooka contro evasione e crimine organizzato è molto alta. Ma nel nostro Paese l’analisi costi e benefici del fenomeno è stata sempre sconfitta dall’analisi politica: per i governanti combattere l’evasione è evidentemente molto costoso. Se si esclude il governo Monti, nessuno dei precedenti esecutivi ci ha mai seriamente provato. Sarà il nuovo governo Conte un esecutivo di cambiamento da questo punto di vista? Oppure sarà l’ennesimo caso di carta che non canta? Vedremo.