Federico Fubini
Non c’era ancora ieri sera un nome scritto a inchiostro nero nello schema del governo alla casella del ministro dell’Economia. Chiunque egli o ella sia, di indelebile c’è solo la stretta di bilancio che aspetta il governo fra poche settimane: probabilmente almeno di 12 miliardi o forse di più, pur lasciando salire il deficit, mentre l’economia dà segni continui segni di frenata e il nuovo governo — se decolla — già dai prossimi giorni dovrà compiere scelte delicate per tenere aperte Ilva e Alitalia. È questa la sostanza dietro il manipolo di candidati segnati ancora a lapis per Via XX Settembre. Negli accordi l’indicazione spetta al Pd, dove si preferirebbe un ministro del partito; è dal 2011 con Giulio Tremonti che in Italia il ministro dell’Economia non è più un politico, competente nel merito ma con le spalle almeno un po’ coperte nella maggioranza e in parlamento. Se questi sono i requisiti, il ventaglio di carte non è infinito. M5S non vuole il ritorno di Pier Carlo Padoan, perché legato ai salvataggi bancari degli anni scorsi; il senatore Pd Antonio Misiani per ora ha soprattutto lavoratoatrovare altri candidati, mentre Claudio De Vincenti resta defilato; molto citato invece è Roberto Gualtieri, di 53 anni. Da due legislature presidente della commissione Economia e Finanza (Econ) all’europarlamento per il Pd, Gualtieri gode di molta stima nelle istituzioni a Roma e a Bruxelles e di aperture di credito sia dall’area del segretario Nicola Zingaretti che dall’ex premier Matteo Renzi. Se Paolo Gentiloni fosse nominato commissario Ue per l’Italia — ad oggi probabile — Gualtieri potrebbe candidarsi nel suo collegio e entrare alla Camera da deputato e ministro. Non è però affatto scontato. Non tanto perché qualcuno fra i5Stelle dubita di lui in quanto «amico di Mario Draghi», considerando come una pecca l’avere buoni rapporti con il presidente della Banca centrale europea. Soprattutto, per l’Italia c’è un altro rischio: perdere la presidenza della commissione Econ all’europarlamento, dove Gualtieri è stato spesso il perno di negoziati che hanno evitatoavari governi (incluso l’ultimo) procedure europee su deficit e debito. Se dunque il Pd rinunciasse a portare Gualtieri nel governo, tornerebbero anche candidati più tecnici. Fra loro Salvatore Rossi, da poco uscito dalla Banca d’Italia, oppure accademici come Marcello Messori, Lucrezia Reichlin, Innocenzo Cipolletta. Questa partita resta fluida, ma non lo è ciò che aspetta il ministro. Quest’anno il deficit arriverà forse un soffio sotto al 2% del Pil, ma nel 2020 tende all’1,6% solo a patto che scattino pesantissimi aumenti dell’Iva da 23 miliardi;restano in più da finanziare altri 4 miliardi in spese obbligatorie e investimenti. Se dunque il governo vuole evitare di far salire le imposte sui consumi e coprire le spese, dovrà subito cercare un compromesso con Bruxelles per un deficit in aumentoevicino a quello a cui mirava il governo gialloverde un anno fa. Per centrarlo, anche senza altri tagli alle tasse, vanno reperiti almeno 12 o 13 miliardi. In parte è l’effetto della spesa corrente in disavanzo decisa un anno fa, ma non è la sola eredità del passato governo: l’Ilva chiude il 6 settembre, distruggendo decine di migliaia di posti, se non arriva una tutela legale effettiva per gli investitori di ArcelorMittal.