Federico Geremicca

Alcune cronache raccontano che Zingaretti, di fronte ai toni e alle pretese di Di Maio, avrebbe chiuso così il tempestoso incontro di lunedì notte col vicepremier e Conte: “Mi spiace, ma così non va. Non lascerò umiliare il mio partito”. Non un semplice scatto di nervi quanto – piuttosto – un cambio di passo col quale aprire, di fatto, una fase nuova. E così, ieri mattina, decidendo di scavalcare il nervosissimo capo politico del Movimento, Zingaretti avrebbe preso il telefono e chiamato il premier per fargli lo stesso discorso fatto in precedenza a Davide Casaleggio. M essaggio sintetico e chiaro: così non si va avanti, va bene un Conte 2, ma la richiesta che anche Di Maio resti al suo posto per noi è irricevibile. Conclusione: se queste sono le condizioni che pone il Movimento – e non solo l’interessato – allora sappiate che si corre verso il voto. E invece, sia come sia, ieri – da ora di pranzo in poi – il clima è cambiato: le riunioni sono riprese, l’ottimismo ha guadagnato campo e l’ipotesi di una conferma di Di Maio alla vicepresidenza ha cominciato a declinare, precipitando il capo politico nel più cupo sconforto. All’opposto, il Pd si rianimava: e si stringeva tutto intero – quasi un inedito – intorno al segretario. In realtà, per Zingaretti non è stato difficile decidere di sbattere i pugni sul tavolo. Il leader democratico, infatti, non ha mai fatto mistero di considerare le elezioni anticipate una seria ed evidente alternativa alla nascita di un esecutivo debole e pasticciato. Nel corso delle trattative quest’idea – certo – si è rafforzata, lasciando però crescere – parallelamente – una suggestione, una linea, che darebbe tutt’altro spessore alla nascita del governo giallorosso: provare a trasformare il rapporto con i Cinquestelle in una vera alleanza politica, con la quale sfidare Salvini e il centrodestra in tutte le prossime elezioni. L’operazione è ambiziosa, ma si nutre di alcuni dati di fatto incontestabili. Il primo: se si governa assieme – e non sulla base di un contratto ma di una chiara alleanza – poi ci si presenta assieme di fronte agli elettori. Il secondo: uscita dal governo, la Lega potrebbe ricontrattare un nuovo patto di centrodestra, così da presentare alle urne uno schieramento potenzialmente imbattibile. Il terzo: divisi, Pd e Cinquestelle perderebbero praticamente ovunque, e con qualunque sistema elettorale. Nell’idea di Nicola Zingaretti, la somma di questi dati di fatto porta a un’unica conclusione: il patto di governo col Movimento ha senso soprattutto se è propedeutico alla nascita di un nuovo bipolarismo. Non si tratta di un tema astratto, iper-politico, se solo si considera che – una volta insediatisi al governo – i giallorossi saranno attesi da tre difficili sfide elettorali (Umbria, Calabria ed Emilia-Romagna) in pochissimi mesi. Operazione ambiziosa e certo impossibile da realizzare col vecchio Movimento targato Di Maio-Di Battista. Ma qualcosa sta evidentemente cambiando con la premiership e il consolidamento di Giuseppe Conte. “Lui e Zingaretti si intendono a meraviglia”, fanno sapere da Palazzo Chigi. È anche da qui, forse, che nasce la nuova linea del Pd: puntare su Conte per indebolire Di Maio. Una linea, a dirla tutta, accolta con molto interesse nello stesso Movimento.