Luciano Violante

La riduzione del numero dei parlamentari non è un «taglio delle poltrone» e non è una novità. I parlamentari in tutte le democrazie sono eletti dai cittadini per rappresentarli nell’assunzione delle decisioni più impegnative per tutto il Paese. Dalla fine del Settecento, in Europa e negli Stati Uniti, i parlamenti eletti dal popolo hanno sostituito le vecchie aristocrazie conservatrici che tenevano nelle loro mani le redini dello Stato, per ragioni di censo, di sangue, di forza militare. Da quel momento tutti i reazionari hanno sparato ad alzo zero controiparlamenti che erano subentrati alle vecchie aristocrazie. Il populismo, sempre presente nelle società democratiche, per acquisire facilmente il consenso popolare, si è appropriato dell’ argomento reazionario del parlamento inutile, fatto di parassiti e di fannulloni. Il tema si è riproposto recentemente, non solo con il governo uscente, ma anche con qualche governo precedente. La riduzione del numero di parlamentari, se è solo un escamotage propagandistico (tagliamo le poltrone), è immissione di veleno nella democrazia. Dire che si riduce il numero dei parlamentari per risparmiare significa negare il valore dei parlamenti come luogo della rappresentanza nazionale dei cittadini e aprire la strada all’altra domanda: perché non toglierne di più o addirittura non toglierli tutti? Basta leggere le pagine del Mein Kampf dedicate ai parlamentari per rendersi conto delle ascendenze della cultura antirappresentativa. D’altra parte uno dei leader che ha votato la riduzione del numero dei parlamentari ha chiesto per sé i pieni poteri, spero travolto dalla foga oratoria. La riduzione del numero dei parlamentari, come parte di un disegno di riforma complessiva del sistema parlamentareèstata invece approvata da tutti i progetti di riforma costituzionale, a partire dalla Commissione D’Alema. Tuttavia, mentre nei progetti precedenti la riduzione del numero dei parlamentari era accompagnata dalla revisione delle competenze del Senato, nel progetto attuale resta il bicameralismo paritario: le due Camere, cioè, continuano ad esercitare le stesse funzioni. Il Senato avrebbe particolari difficoltà a svolgere le funzioni attuali con duecento componenti invece che con 315. La strada maestra è il superamento del bicameralismo paritario. Le proposte non mancano e alcune sono soddisfacenti. Il voto definitivo della Camera sulla riduzione del numero dei parlamentari potrebbe essere rinviato per permettere la revisione del bicameralismo. Poi si dovrebbe fissare in contemporanea il voto finale tanto sulla riduzione del numero dei parlamentari quanto sulle nuove competenze di Camera e Senato. Il Parlamento, infine, ha approvato nel maggio scorso una delega al governo per la ridefini zione dei collegi, coerente con la riduzione del numero dei parlamentari. La legge, quindi c’è già. Basta attuarla, anche se il voto finale deve essere espresso dopo la riforma costituzionale. Ma non è l’unico problema. Oggi c’è un senatore ogni 188.424 abitanti, domani ce ne sarà uno ogni 302.420 (dati tratti dai dossier parlamentari). Solo 10 comuni superano i 300.000 abitanti e sono circa 6.000 i comuni con meno di 5.000 abitanti. Un collegio comprenderebbe circa 60 di questi comuni. Si é fatto il conto delle spese elettorali minime per coprire una popolazione distribuita in migliaia di medi e piccoli comuni? Se si vuole evitare che gli eletti vengano prima decisi e poi condizionati da grandi lobbisti sarà bene farsi venire qualche buona idea.