Giuliano Ferrara

Il curriculum vitae dell’avvocato Conte era scarsino e ridondante quanto ai severi studi alla New York University, sebbene la NYU sia una scuola come un’altra, uno dei tanti rinomati ma non così eccellenti ristoranti di Manhattan. Era comunque uno sconosciuto, se perfetto non si sa. Divenuto pres. del. con., pare per segnalazione dell’astuto dottor Zampetti, segretario generale del Quirinale (carica che andrebbe abolita ma stavolta risultò utile), l’avvocato del bobolo ha sottoscritto tutti i fallimenti e le insulsaggini o soperchierie di un governo balordo per un anno e mezzo, standosene nel suo non invidiabile ruolo di vice dei vice e interpretandolo con il timbro di voce, come mi ha suggerito un’amica geniale, di Tina Pica. Però ha fatto anche qualcos’altro, tra il lusco e il brusco di un anno bellissimo e mezzo. Ha evitato lo sforamento baldorioso del deficit a livelli extraeuro, raccordandosi con il ministro Tria e il ministro Moavero Milanesi (un altro multinome); ha evitato un paio di procedure d’infrazione contro l’Italia, avvalendosi della fatturazione elettronica della Leopolda renziana; ha fatto sbarcare qualche minore e qualche altro disgraziato nei porti chiusi, connettendosi con il ministro della Difesa che manovrava i cacciatorpedinieri con miglior grazia delle imbarcazioni controllate dal Viminale; ha spiegato alla Merkel in un video fatale che il Truce era un rompicoglioni controllabile. Alla fine delle fini, quando è diventato incontrollabile, il Truce, e ha cercato goffamente di impallinarlo con la pistola a acqua del Papeete, se lo è cucinato a puntino, mettendo il limone al posto giusto nella sublime porchetta: un discorsetto nell’aula del Senato in cui gli ha detto in faccia tutto quello che gli aveva taciuto alle spalle e un soave: “con la Lega è stagione finita”, gutturalizzato a Biarritz, dove i grandi d’Europa gli mostrano una considerazione che nella sua corposità deve essere effetto tanto della sua virtù di mediatore quanto della loro lontananza dal teatrino italiano e delle buone informazioni dei loro servizi segreti. Ora non so se lo nobiliteranno con il titolo di Bisconte di San Giovanni Rotondo, ma lo meriterebbe ampiamente. Infatti il suo comportamento, subito bollato dal Cretino Collettivo come opportunismo e voltagabbanismo, è stato la perfetta espressione del discrimine che in politica e nell’esperienza comune delle relazioni di potere (tutte le relazioni) separa la coerenza cosiddetta dal masochismo. La coerenza è affare complicato, richiede studio e cuore e cultura, passa per le vie meno battute (tutti lo sanno tranne, che so, un qualsiasi Capezzone o una Madonna del Truce Piangente, con tante scuse per la citazione sarcastica a Nostra Signora tirata in ballo dallo sconocchiato), oppure è l’ultimo rifugio delle canaglie, come certo Patriottismo. Mentre il masochismo non è concetto equivoco ma dimensione univoca dell’autodifesa: uno più prepotente di te intende bastonarti e tu sguaini la spada, sebbene non sia fiammeggiante visti i precedenti, e lo trafiggi. Il bello e l’utile della politica italiana classica è che impartisce continue lezioni, di Monarchia in Repubblica, e oltre avanti e indietro nel tempo, essendo notoriamente una sequela rinascimentale o postmoderna di miserabili agguati e tradimenti e vendette, in corrispondenza con l’affabile, spensierato e sapiente immoralismo delle sue premesse (il principato ecclesiastico o clericale famoso, immune dal calvinismo ereticale una volta per tutte marginalizzato dal Concilio di Trento: sono banalità diverse da quelle del Saviano, sono utili alla comprensione dei fatti). In tutta questa cattiveria e bugiarderia tipicamente giolittiana (Giolitti fu un liberale ministro della malavita, ma non della truceria), ribalderia alla quale per il vero furono e sono parzialmente inclini anche altre nazioni e altri regni, l’Italia eccelle perché rende visibile e chiara la prospettiva, l’orizzonte della politica. Che non è l’immobilismo, il longanesiano “appoggiarsi ai principi” che poi si piegano, ma movimento, scaltrezza e caleidoscopio. Muovendosi, la politica indica una direzione di marcia, raramente in modo eroico o allegro, spesso in modalità meschine e triste, ma una direzione ci vuole, a un paese così. Confido sul fatto che molto rapidamente, se questo hidalgo di studio legale sarà fatto governatore dell’isola di Barataria, come avvenne per Sancio Panza, quel paese perbene, grossolano, arruffone e semplicistico innamoratosi anche per comprensibili ragioni di un pessimo bravaccio e del suo minaccioso tortore, si farà passare una cotta che avrebbe potuto costargli cara. Giuliano Ferrara

P. s. Questo articoletto è pagato doppio, come tutti quelli della mia carriera, dall’editore e dai poteri forti. Mi aspetto una prebenda, roso dalla voglia di tornare trionfalmente in televisione, corrispondente in quantità e qualità. Ho optato per il segnale orario con Buttafuoco, che però preferisce, nella sua modestia, “Aspetta si fa sera” (se lo annoti il forse bispres. del. con.). Vabbè.