«Guerra all’intelligenza. Siamo all’ultimo stadio di una lunga malattia»

«Brexit è una dichiarazione di guerra. Non all’Unione europea, no. È una dichiarazione di guerra all’intelligenza». Howard Jacobson è uno degli scrittori più spiritosi della nostra epoca, vincitore del Man Booker che nel suo romanzo che esce oggi in Italia, Su con la vita (La Nave di Teseo) fa ridere fragorosamente il lettore già alla prima riga, con incipit fulminante. L’hanno definito «il Philip Roth inglese» e lui ha risposto che preferisce essere considerato «la Jane Austen ebrea», oggi però non ha voglia di scherzare: «Ho tante cose da dire, nessuna particolarmente buffa purtroppo». Il 31 ottobre si avvicina, l’uscita dall’Unione europea. Se lo aspettava? «Siamo all’ultimo stadio di una malattia che corrode il Regno Unito da molti anni, dalla fine dell’era industriale e l’inizio di quella post-industriale. Tanti lavoratori si sono trovati in difficoltà e i politici invece di studiare soluzioni li hanno aizzati contro le élite. La cosa grottesca è che questi presunti amici dei lavoratori sono nati ricchi e hanno frequentato le scuole più costose, come Boris Johnson. Figuri che con i lavoratori non hanno nulla a che spartire e ai quali dei lavoratori non importa nulla». Johnson ha scritto un romanzo alcuni anni fa. È un suo collega in un certo senso. «Ne ho letto qualche passaggio: un libro allucinante. Non è uno scrittore, è diventato famoso come giornalista perché ha la battuta pronta, tutto lì». Una cosa positiva almeno su Johnson? «Non è un antisemita, non ha la minima tendenza antisemita, lo garantisco. In questi anni di crescente antisemitismo in Gran Bretagna, è una buona notizia». L’antisemitismo nel Labour è un problema di Jeremy Corbyn. «Un problema vero, terribile. Corbyn vuole Brexit ancora più fortemente di Boris: Boris, se la situazione davvero precipitasse, farebbe retromarcia senza battere ciglio e sarebbe il primo a elogiare l’Europa, non ha scrupoli. Corbyn inveceèun manicheo, rigidissimo. Mi ricorda quelli che negli anni Trenta ripetevano meccanicamente le direttive ricevute da Mosca, che però erano più intelligenti di lui. Ma la cosa più grave non è nemmeno l’uscita dall’Europa». Qual è allora? «Questa guerra contro l’intelligenza, l’idea che non bisogna fidarsi di chi sa le cose perché esiste una sorta di intelligenza popolare che grazie a Internet può risolvere tutto». Cosa succede adesso? «La mia previsione? Boris troverà il modo di fare una modifica infinitesimale al backstop sull’Irlanda del Nord, la presenterà all’Europa come se fosse la soluzione di tutto, mentendo sconciamente, e chiederà delle concessioni. Se non le otterrà, tanto peggio». Un pensiero felice oggi? «Sto per partire per Mantova, mi hanno invitato al Festivaletteratura. È il posto che preferisco al mondo: vedrò tanti amici, andrò in piazza, mangeròibigoli e berrò Valpolicella e mi sembrerà di essere in paradiso. Poi però dovrò tornare a casa».